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Tail strike: un caso di scuola

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Abbiamo visto quali sono le condizioni critiche che portano al tail strike e le problematiche relative al centraggio, che è una delle cause di questo fenomeno. Passiamo adesso a vedere, esaminando un “caso di scuola”, alcuni degli aspetti operativi legati a un evento realmente accaduto.

Ogni aereo ha una parte della coda che è provvista di un tail bumper, cioè una specie di scatoletta che indica al pilota che c'è stato contatto tra la coda e la pista. Infatti un pilota, soprattutto di un aereo di grandi dimensioni, può anche non accorgersi immediatamente che durante le manovre a muso alto in prossimità della pista ha toccato la pista stessa con la coda. Quando il dispositivo rileva una pressione (dovuta al colpo subito) indica con una linguetta che si dispone in posizione verticale (e molto spesso con un avviso ottico in cockpit) che c'è necessità di effettuare un'ispezione accurata sull'aereo da parte del personale di manutenzione.

Le probabilità di contatto aumentano con la lunghezza dell'aereo, ovvero più lungo è l'aereo più lenta dovrà essere la manovra di rotazione al decollo. Poi ci sono altri fattori, quali la densità dell'aria, il vento (windshear), l'efficienza dei comandi di volo.

Se avete fatto caso, gli aerei hanno in generale il "sedere alto". Non è ovviamente un giudizio “estetico”, ma la semplice constatazione del disegno strutturale della fusoliera, che nella sua estremità posteriore si innalza proprio per evitare il tail strike.

Ma quali possono essere gli effetti in volo di un contatto della coda con la pista? Come ogni cosa che subisce un urto, anche l'aereo può subire danni strutturali. Tra l'altro, in quasi tutti gli aerei di linea, la coda è il tallone d'Achille poiché è da lì che passano tutti gli impianti, è lì che ci sono le superfici che governano la cabrata e la picchiata, è lì che è situato il motore ausiliario che non fornisce spinta, ma solo alimentazione elettrica e pneumatica (APU). Quindi, la coda è di importanza vitale.

Nella storia dell'aviazione vi sono stati diversi eventi legati a questa problematica, e non c'è compagnia che ne sia immune.

Conosco la storia di un equipaggio che è decollato da Johannesburg, un aeroporto che si trova in quota (intorno ai 5000 ft., contro Madrid che è l'aeroporto più alto d'Europa con i suoi 2000 ft. circa). Il comandante in addestramento effettua il decollo ed arrivato alla velocità di rotazione (Vr) effettua una cabrata molto accentuata. Ciò dipende dal fatto che era abituato a volare sugli aerei di corto raggio, su aeroporti a livello del mare, e non aveva ancora la necessaria manualità sviluppata sulla macchina. Fatto sta che effettua una cosiddetta over-rotation. L'aereo alza il muso e poi lo abbassa impercettibilmente, facendo udire all'equipaggio un rumore sordo.

Il comandante istruttore interviene dichiarando che l'aereo ha toccato, ma non "strusciato" la coda, discettando sul fatto che nel primo caso si poteva tranquillamente continuare fino a destinazione (sic!) mentre nel secondo caso occorreva ritornare all'atterraggio. Morale: il volo continua fino a Roma, sorvolando l'Africa nera, e tutto si conclude senza conseguenze.

Tutto bene ciò che finisce bene? In realtà, no.

Ragionando in un'ottica di de-briefing, bisogna innanzitutto fare i complimenti ai costruttori di queste macchine meravigliose perché hanno una resistenza notevole.

In secondo luogo, vi sono elementi legati al fattore umano che indicano come vi siano delle persone che pur di mantenere la propria immagine di sé si espongono a dei rischi di cui non sono nemmeno consapevoli.

E per finire, si può aprire il vaso di Pandora delle possibili conseguenze: e se la coda avesse ceduto, sull'onda dello sforzo subito alla toccata? e se si fosse aperta una falla nel vano di coda inducendo l'aereo ad una depressurizzazione violenta nel mezzo della notte in piena Africa, dove l'aeroporto più vicino è Nairobi, a circa tre ore dalla rotta? E così via.

Insomma, dietro degli eventi apparentemente non problematici si può sempre nascondere l'insidia, e una conoscenza approfondita del fenomeno può aiutare l'equipaggio a decidere meglio.

Possibilmente senza inventare teorie sul momento.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(18 maggio 2011)

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