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Amelia Earhart. Una scia nel cielo.

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A poche settimane dal Raduno Mondiale dell’International Society of Woman Airline Pilots -ISA+21- tenutosi a Roma, e mentre sempre a Roma si apre l'assemblea annuale della FEWP (Federazione Europea delle Donne Pilota), ci piace ricordare una protagonista assoluta dell’aviazione mondiale.

Nata il 24 luglio del 1897 ad Atchinson, nel Kansas, Amelia Earhart è riuscita, nel corso della sua breve esistenza a lasciare un segno indelebile nella storia dell’umanità, tanto da essere paragonata da alcuni a una sorta di rockstar dei cieli.

Non può certo stupire, del resto, il fatto che pilotare un aereo agli inizi del secolo scorso potesse essere considerato un’impresa piuttosto audace, soprattutto se, ai comandi, vi fosse una donna. Tant’è vero che, a poco meno di un secolo, permangono residui di pregiudizi e, nonostante il numero delle donne in aviazione sia notevolmente cresciuto negli ultimi anni, siamo ancora ben lontani da un’auspicabile situazione di parità tra i sessi.

La storia di Amelia Earhart, meglio nota come Amelia, è legata al Mito in senso classico. Lo stesso che insegna che, in fin dei conti, le storie dell’umanità sono sempre le stesse. Prima e dopo Icaro. Il bisogno primordiale di esplorare e sfidare i limiti della Natura, quello di vivere in modo estremo per sentirsi più vivi, è non a caso il tema portante del film biografico Amelia di Mira Nair con Hillary Swan in veste di protagonista.

Purtroppo, all’epoca della sua uscita, la pellicola fu massacrata dalla critica, che non ne comprese la forza. Il film merita però di essere visto, soprattutto dagli appassionati di aviazione, non perché sia particolarmente attendibile da un punto di vista filologico, quanto piuttosto perché fornisce un quadro emozionante di una passione totalizzante e contagiosa.

Detentrice di numerosi record, nel 1928, Amelia è la prima donna ad attraversare l’Atlantico, a bordo di un Fokker F7 pilotato da Stultz e Gordon. Non contenta, quattro anni più tardi, decolla da Terranova ai comandi del suo aereo, per una traversata di quattordici ore e cinquantasei minuti che si conclude con l’atterraggio a Londonderry, nell’Irlanda del Nord, prima donna ad effettuare una trasvolata oceanica in solitaria.

Purtroppo, la sfida successiva, quella di essere la prima donna a compiere il giro del mondo al comando di un aereo, le sarà fatale. Si perderanno le sue tracce a circa settemila miglia dal conseguimento del suo obiettivo.

Di recente, su un piccolo atollo disabitato dell’Oceano Pacifico denominato Nikumaroro, sono stati ritrovati dei resti ossei attribuiti all’aviatrice, ponendo così fine, chissà, a numerose leggende metropolitane, tra cui l’ipotesi lanciata nel 2008 dal documentario del National Geographic Where’s Amelia Earhart? secondo cui sarebbe caduta vittima dei giapponesi, imprigionata con l’accusa di essere una spia.

In base ai recenti ritrovamenti ossei, l’aviatrice potrebbe essere riuscita a sopravvivere a un ammaraggio, per poi spegnersi nell’isola deserta a causa delle condizioni di vita estreme. Ancora una volta, in realtà, un interrogativo che non può che alimentare la leggenda.

Nel corso degli anni successivi alla sua morte, Amelia Earhart ha ricevuto vari tributi, non soltanto in ambito cinematografico. Sicuramente degna di nota, l’interpretazione di Joni Mitchell della canzone Amelia nel live album del 1980 Shadows and Lights, curioso esempio di incrocio di destini con un’altra rockstar, il bassista Jaco Pastorius, considerato il più grande di tutti i tempi, presente nella line up del leggendario concerto e prematuramente scomparso qualche anno dopo.

Nella sua canzone, Joni Mitchell esordisce con una bella metafora: le scie lasciate da sei aerei nel cielo non sono altro che le corde di una chitarra... la stessa che suona l’ormai eterno tributo a una grande donna misteriosamente scomparsa.

Proprio come una scia nel cielo.

(3 giugno 2011)

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