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L'incidente di Petrozavodsk

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20 giugno 2011: è quasi mezzanotte all'aeroporto di Petrozavodsk, capitale dello stato russo della Carelia, situata circa 400 km a nord est di San Pietroburgo. Il tempo è brutto, con nubi basse e nebbia, mentre un Tupolev TU-134 della compagnia RusLine inizia la manovra di atterraggio sulla pista 01.

Alle 23:40 locali, l'aereo (7R 234, da Mosca-Domodedovo a Petrozavodsk) termina il suo volo 800 metri prima della pista, leggermente sulla destra del sentiero di avvicinamento, impattando con una strada per poi spezzarsi in più tronconi e finire in fiamme nei giardini di alcune case private. Dei 51 occupanti, 44 muoiono subito; degli altri, tutti feriti in modo grave, due moriranno nei giorni seguenti, e niente esclude purtroppo un peggioramento del bilancio.

A distanza di qualche giorno, mentre il MAK (Russia's Interstate Aviation Committee) stava ancora iniziando le normali pratiche investigative che seguono un incidente, il presidente russo Medvedev, per il tramite del Ministro dei Trasporti Levitin, è intervenuto direttamente sull'argomento, imponendo un programma che dovrebbe portare in tempi brevi alla radiazione dei 90 TU-134 ancora in uso in Russia.

Il Tupolev TU-134 è un bimotore a getto progettato nel 1966 e restato in produzione fino al 1984, per un totale di 852 esemplari costruiti, impiegati in massima parte (ma non esclusivamente) da compagnie appartenenti all'area di influenza sovietica. Tecnologia costruttiva e strumentazione sono ovviamente datate, se confrontate ai moderni criteri industriali; basti pensare che l'aereo (così come altri due modelli che hanno fatto la storia dell'aviazione civile russa, l'Antonov AN-24 e lo Yakovlev YAK-40) non dispone di un impianto di un impianto di avviso di prossimità del terreno (comunemente detto GPWS, Ground Proximity Warning System), e che i suoi strumenti di navigazione sono essenzialmente costituiti da vecchi indicatori di tipo analogico. Insomma, il nostro TU-134 è quella che comunemente viene definita una “vecchia carretta”, la cui radiazione può anche sembrare logica anzi, addirittura benvenuta in un'ottica di sicurezza aerea.

E tuttavia, di fronte a simili interventi da parte di autorità (come la presidenza della Confederazione Russa) che con la sicurezza aerea hanno ben poco a che vedere non si può che restare perplessi. Tra l'altro l'argomento GPWS, citato espressamente da Levitin nella sua conferenza stampa del 23 giugno, è chiaramente capzioso, perché se l'aereo è configurato per l'atterraggio (carrello estratto e flap abbassati) l'impianto, ovviamente, non fornisce nessun allarme: è del tutto normale, infatti, che un aereo in procinto di atterrare si avvicini al terreno...

E del resto, come abbiamo più volte ripetuto, un incidente non ha mai una sola causa, e appare come minimo semplicistico additare il vecchio TU-134 come unico capro espiatorio della tragedia di Petrozavodsk.

Sul banco degli imputati potrebbe salire, ad esempio, un sistema aeronautico che lascia troppi aeroporti privi di impianti di avvicinamento di precisione (ILS). A Petrozavodsk infatti, come in moltissimi altri aeroporti russi, le piste dispongono solo di avvicinamenti basati sull'NDB, che in condizioni meteorologiche come quelle del 20 giugno scorso sono nettamente insufficienti.

Al momento dell'incidente, c'era una visibilità orizzontale di 600 metri, con una visibilità verticale di un centinaio di metri: valori accettabili per un avvicinamento ILS, ma nettamente al di sotto di quello che normalmente è richiesto quando si dispone solo dell'NDB. E infatti le cartine richiedono una visibilità verticale di 160 metri, che però, secondo un NOTAM valido solo per gli equipaggi russi, possono essere ridotti a 110 metri.

In pratica, per sopperire a un equipaggiamento aeroportuale deficitario in una zona dove la bassa visibilità è all'ordine del giorno, si “autorizzano” i piloti a compiere manovre che possono rivelarsi (e lo hanno fatto) mortali.

Se a tutto questo si aggiunge che ,a quell'ora di notte, l'equipaggio fosse magari ansioso di chiudere una giornata di lavoro, si capisce bene come la manovra possa essere stata spinta oltre i limiti di ragionevolezza che una sana professionalità avrebbe richiesto. A quel punto, nel buio e nella nebbia, le luci della strada possono benissimo aver costituito l'ultimo inganno per i piloti del volo 7R-234.

E se non si interviene in fretta anche sugli aspetti che abbiamo appena indicato (infrastrutture aeroportuali, regolamentazione e addestramento), incidenti del genere non potranno che continuare ad accadere. Non a caso, in scenari del tutto simili, altri aerei russi sono andati incontro a un tragico destino.

E' capitato nell'agosto del 2010, a Igarka, a un'altra “vecchia carretta”, un Antonov AN-24. E se questo pare dare ragione all'estemporaneo decisionismo del presidente Mevdeved, basta pensare che è successo anche, nel maggio del 2006, a Sochi, a un modernissimo Airbus A-320.

(27 giugno 2011)

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