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Cosa è cambiato?

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La mattina del 12 settembre di dieci anni fa ci siamo svegliati in un mondo diverso: un mondo che negli ultimi dieci anni ha visto cambiare radicalmente il nostro modo di volare, abituandoci a tutta una serie di procedure di sicurezza che si sono fatte via via più invasive.

Code chilometriche ai controlli pre-imbarco, migliaia di bottigliette di acqua shampoo e profumo sequestrate, gente in fila con le scarpe in mano, body scanner invocati come toccasana da una nazione e ricusati completamente da altre (come ha fatto la Germania non più di 15 giorni fa, annunciando l'abbandono del programma di installazione), controlli antropometrici, profilazione dei passeggeri secondo modelli di rischio non sempre chiari, e perfino intercettazioni di aerei in avaria radio da parte dell'aviazione militare (l'ultimo, pochi giorni fa, nei cieli austriaci).

Insomma, da dieci anni a questa parte, il mondo di chi, per lavoro, per necessità o per diletto, si trova costretto a vestire i panni del passeggero di un aereo, è radicalmente cambiato.

Ed è un mondo diverso anche per i piloti, fino ad allora educati e addestrati ad affrontare tentativi di dirottamento che non cercavano la strage. Erano, fin dal primo evento, nel lontano 1931, azioni messe in atto da singoli disperati in cerca di un po' di attenzione nelle prime pagine dei giornali, da attivisti politici interessati a dare visibilità internazionale alle loro rivendicazioni, da gruppi di persone interessate a raggiungere un paese dove chiedere asilo, o da semplici squilibrati che magari nemmeno si rendevano conto di quello che stavano facendo.

Ebbene, in tutti questi casi, la linea di condotta che i vari programmi di security messi a punto dalle compagnie raccomandavano agli equipaggi era relativamente semplice: evitare ogni reazione violenta nei confronti degli aggressori, astenersi dall'entrare in conflitto, anche verbale, con i dirottatori, e assecondarli nelle loro richieste fino ad atterrare laddove essi avessero voluto.

A quel punto, la palla passava ai servizi di sicurezza di terra, alle teste più o meno di cuoio, alle lunghe trattative che tenevano gli spettatori di mezzo mondo incollati ai televisori, allo stillicidio di liberazioni parziali (donne e bambini, malati, vecchi) che preludevano, nel migliore dei casi, alla resa finale dei dirottatori col suo strascico di polemiche per lo più politiche, o all'attacco delle forze speciali... attacchi che spesso hanno finito col provocare le uniche, malaugurate vittime dei vari dirottamenti.

Era stato così nel 1976 a Entebbe, uno dei dirottamenti più famosi della storia e soggetto di diversi film, quando l'attacco del commando israeliano, avvenuto dopo l'atterraggio nella palazzina dove terroristi, equipaggio e passeggeri si erano rifugiati, aveva portato alla morte dei sette dirottatori, di tre passeggeri e di un membro del commando.

Ed era stato così anche sei anni prima, nel settembre del 1970, in occasione dello spettacolare dirottamento di cinque aerei, due dei quali costretti ad atterrare a Zarka, un vecchio campo d'aviazione abbandonato nel deserto giordano, e qui fatti saltare in aria dopo che tutti gli occupanti erano stati liberati: l'unica vittima di quel dirottamento multiplo si ebbe a bordo di un B-707 della compagnia israeliana El-Al. La reazione degli air-marshal presenti a bordo impedì ai terroristi di prendere il controllo dell'aereo, e uno di loro (unica vittima di quel sensazionale atto di pirateria aerea) morì dopo l'atterraggio a Londra, ma solo un caso fortunato (la mancata esplosione di una bomba a mano lanciata nella cabina dell'aereo) evitò un bilancio ben peggiore.

In ogni caso, per quanto situazioni del genere potessero essere stressanti, restava ai piloti una certezza: eravamo in qualche modo utili ai dirottatori, che avevano bisogno di noi per essere trasportati, insieme alle loro vittime, alla destinazione che si erano prefissi, qualunque essa fosse.

La mattina dell'11 settembre del 2001, i quattro commandos di Al Quaeda hanno spazzato via anche questa “sicurezza”: non c'era più bisogno dei piloti per trasformare quattro aerei di linea in giganteschi missili lanciati verso il loro obbiettivo... al contrario, i piloti sono stati i primi ad essere fisicamente eliminati.

E così ora ogni tratta si trasforma in una reclusione (più o meno lunga) dietro una porta blindata munita di spioncino o di telecamera di sorveglianza, che si apre solo se chi è dall'altra parte (magari lo steward che ci sta portando un caffè) si fa riconoscere in modo adeguato. Non è piacevole, ma non è nemmeno la fine del mondo, e piano piano ci si fa l'abitudine.

Ma io non posso fare a meno di chiedermi come mi sentirò il giorno in cui uno psicopatico, un fanatico, o semplicemente un poveraccio reso folle da una delusione amorosa, minaccerà di fare una strage se non gli apro la porta.

(11 settembre 2011)

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