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Il pilota con le vertigini

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L’idea di scrivere queste pagine prende spunto da un aneddoto: qualche anno fa, mi trovavo in un grattacielo di Hong Kong insieme a due miei colleghi. L’ascensore si trovava sulla parete esterna di questo edificio rivestito esclusivamente da vetri, offrendo una magnifica vista di Hong Kong e delle lussureggianti colline dei dintorni. Man mano che salivamo verso gli ultimi piani, osservavo il paesaggio circostante: una selva di grattacieli avvolti da vere e proprie opere d’arte. Come chiamare altrimenti le impalcature di bambù che si ergono per centinaia di metri in altezza che si tengono in piedi con snodi e corde? Non avrei mai creduto che il bambù potesse sostenere tutto quel peso, ma riflettendo bene sui proverbi cinesi ti accorgi che viene spesso citato per le sue caratteristiche: forte, resistente, flessibile.

Attratto da quelle meraviglie, mi girai verso i due  piloti per indicare un grattacielo particolarmente alto sul quale degli operai stavano lavorando sospesi su questi ponteggi naturali.

Trovai tutti e due con la faccia contro la pulsantiera dell’ascensore; rigidi, muti.

Credendo ad uno scherzo, cominciai a dare calci nel sedere per smuoverli, ma uno di loro mi supplicò di smetterla. Non potevano girarsi perché soffrivano tutti e due di vertigini.

Che strano, direte voi, trattandosi di due piloti. È come se un chirurgo avesse paura del sangue.

Indagando bene, ho scoperto che la maggior parte di noi soffre di vertigini. Sembra paradossale, ma è così. Per rendere sensata questa considerazione, dobbiamo provare ad immaginare il tipo di movimento nello spazio che ci rende invulnerabili verso quel vuoto che  in altre circostanze ci atterrisce.

Il volo, se scomposto in maniera infinitesimale, è un insieme di punti di una traiettoria dinamica che si apre in uno spazio limitato da uno spicchio della nostra visione anteriore. Infatti, solo il cielo davanti a noi è il punto di riferimento del pilota. Tutto ciò che c’è dietro non conta. Quando siamo fermi nell’ascensore di Hong Kong manca la dinamica cui siamo abituati, l’orizzonte è a 360°, il punto di appoggio è percepito come instabile. Soprattutto, siamo nelle mani di qualcun altro: il costruttore dell’ascensore, sul quale non abbiamo nessun potere.

Il paradosso di chi vola mi fu insegnato da un vecchio comandante di cui avevo grande stima: chi vola è, allo stesso tempo, presuntuoso ed umile. Umile perché sa di poter sbagliare in qualsiasi momento e per questo si dota di una serie di norme, di regole di condotta, in sostanza di una ferrea autodisciplina, che lo portano ad evitare, ed eventualmente correggere, gli errori. D’altra parte, è anche molto presuntuoso perché quando sale con il suo aereo in cielo, sa che qualsiasi cosa capiterà, egli sarà in grado di affrontarla e risolverla.

E poi, non sarà che anche io ho combattuto la paura del vuoto con il volo, ma ora non me ne ricordo più? Da bambino, in cima ad un grattacielo nel quale una mia vecchia zia aveva comprato un appartamento agli ultimi piani, mi affacciai dal balcone per godermi la magnifica vista. Mia madre quasi morì per lo spavento. Non avevo intenzione di buttarmi; volevo vedere meglio.

Lo facessero i miei figli oggi, morirei di spavento.

Ad ogni modo, non credo neanche che sia poi così naturale stare sospesi in aria, altrimenti avremmo sviluppato le ali.

(23 ottobre 2009)

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