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Applausi

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Sugli aerei di medio raggio (e in epoca pre-11 settembre) era molto facile sentirli... in fondo la prima fila di passeggeri era solo tre metri dietro alla cabina di pilotaggio e la porta, anche in atterraggio, spesso restava aperta, soprattutto di giorno e in condizioni di bel tempo.

Di notte no, perché la luce proveniente dalla cabina passeggeri poteva dare fastidio ai piloti, così come quando le condizioni meteo erano cattive.

Oggi poi la porta, è sempre chiusa, e negli aerei di lungo raggio, per di più, tra la cabina dei piloti e la prima fila dei passeggeri c'è anche una zona (galley, la chiamiamo noi) destinata agli assistenti di volo, che lì preparano pasti, bevande e snack... sentirli è quindi diventato sempre più difficile.

Ma “sentire” cosa? Sto parlando degli applausi che a volte seguono un atterraggio, soprattutto se è stato particolarmente morbido, magari dopo un avvicinamento tormentato da pioggia, vento o turbolenza.

Inutile negarlo, quegli applausi facevano piacere, e anche oggi, benché non sia più possibile sentirli, fa piacere sentirseli raccontare a posteriori dagli assistenti di volo... magari sul pullman che ti porta in albergo, o meglio ancora la sera, a cena.

Però, per essere del tutto sincero, io mi sono sempre chiesto cosa abbiano quei passeggeri da applaudire: in fondo io non ho fatto altro che il mio mestiere, che è quello di portare a terra un aereo in sicurezza (tanto per cominciare) e in orario (quando è possibile). E per fare questo non ho certo bisogno di applausi, anche se devo ammettere che quel batter di mani accarezza dolcemente il mio amor proprio.

E' quello che provai a spiegare una volta, prendendolo un po' in giro, al direttore della banca dove ho il conto corrente. E' un vecchio amico (abbiamo fatto il liceo insieme), così quando vado in banca ne approfitto sempre per una bella chiacchierata, e mentre parliamo lui provvede a fare il suo lavoro.

In quel caso si trattava di un bonifico, e mentre tra un amarcord e l'altro lo faceva, mi raccontava delle sue vacanze, del volo che aveva fatto, e degli applausi che erano scoppiati dopo l'atterraggio: applausi ai quali anche lui aveva partecipato. Intanto smanettava sul suo computer per finalizzare l'operazione che gli avevo chiesto.

Aspettai che finisse il suo racconto... e il mio bonifico, e quando finalmente mi porse la ricevuta (contabile, la chiamano loro) dell'operazione appena compiuta mi alzai in piedi applaudendo rumorosamente: mi guardò come si guarda un demente, chiedendomi se non fossi per caso impazzito.

“Impazzito? Io? E perché? -risposi scoppiando a ridere- “Tu hai applaudito il mio collega perché ha fatto il suo lavoro e ora io, a nome anche suo, applaudo te perché hai fatto il tuo... siamo pari.”

(24 novembre 2011)

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