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Quei ricchi sulle macchine volanti

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Che una parte della crisi la debbano pagare i ricchi, è senz'altro cosa buona e giusta, ma nella più o meno reale “impossibilità” di applicare una patrimoniale il governo Monti ha scelto di colpire non il lusso, ma i suoi simboli. E cosa è spuntato tra i beni di lusso? Ovviamente, l'aereo privato.

Una tassa del genere l'aveva già introdotta, a suo tempo, anche Amato, a testimonianza di come questa equazione “ricchezza-aereo” attraversi trasversalmente i nostri schieramenti politici. E' curioso osservare come in Italia il concetto di aereo privato richiami immediatamente quello di lusso sfrenato, come se tutti quelli che coltivano l'hobby del volo se ne andassero a spasso per i cieli della penisola su un fiammante jet nuovo.

Invece la maggior parte della peraltro esigua flotta “da turismo” del nostro paese è costituita da piccoli monomotori, spesso alquanto vecchiotti (l'età media della flotta supera i 30 anni) il cui valore commerciale non giustifica certo l'applicazione dei parametri previsti dal decreto Monti.

Già, ma quanto dovrebbe pagare il "riccastro" possessore di uno dei più popolari “aeroplanetti” da turismo, come il conosciutissimo Cessnino 172? Ebbene, per un aereo il cui valore commerciale (rilevato dalle offerte di vendita di siti specializzati) si aggira intorno ai 40.000 euro, la tassa dovuta ammonta a quasi 3.000 euro all'anno, il che appare francamente esagerato.

Inoltre, mentre per le super-auto e per le barche è prevista una soglia minima (185 chilowatt per le une, e 10 metri per le altre) al di sotto della quale si resta fuori dai provvedimenti della manovra, per gli aerei non c'è scappatoia: pagano tutti, anche i minuscoli biposto, magari autoassemblati da un paio di amici per hobby, nel garage dietro casa. E proprio questa fattispecie, quella degli appassionati del volo amatoriale, finirà con l'essere l'unica colpita dalla nuova tassa.

Sì, perché scorrendo la lista delle “categorie esenti” ci si accorge che il 90%, a dir poco, degli aerei immatricolati in Italia ne resta fuori.

Si comincia con gli aerei di Stato, e questo è logico... meno logico è che ci sia chi, di questi aerei, fa un uso decisamente privato, ma questo è un altro paio di maniche. Si continua con quelli usati dalle scuole di volo, è anche questo è giustificato, perché la formazione professionale delle future generazioni di piloti rappresenta in fin dei conti un patrimonio della nazione. Poi ci sono tutti quelli destinati al soccorso aereo (giustissimo, la salute e la sicurezza prima di tutto) e quelli degli AeroClub, i quali hanno lo scopo istituzionale di promuovere la formazione e la cultura aeronautica senza finalità di lucro.

E si finisce con quelli di proprietà di compagnie aeree adibiti al trasporto (di linea e non) e ad ogni altro tipo di lavoro aereo... e qui casca l'asino, perché il lussuoso jet privato al quale i nostri politici (e anche i nostri tecnici, se si deve giudicare da quello che ha sfornato in materia il buon Monti) hanno da sempre apparentato anche l'asmatico Cessnino, rientra appunto in quest'ultima categoria di esenzioni.

Proprio così: la scintillante macchina simbolo di lusso sfrenato, splendide donne e fine settimana in esotici paradisi per ricchi, il lussuoso jet privato che i nostri governanti hanno inteso gravare delle loro imposte, nella quasi totalità dei casi non appartiene a un Paperone, ma a una società di lavoro aereo, di aero-taxi, che a quel Paperone poi la cede a nolo... quando non è il Paperone stesso ad essersela comprata sotto la copertura di una più o meno reale società di lavoro aereo.

E allora la tassa sugli aerei, lungi dal contribuire a risanare le scassate finanze statali, servirà solo ad affossare vieppiù un settore che, complice la scarsa lungimiranza politica, è storicamente in affanno e in abissale ritardo rispetto a quello che succede nel resto d'Europa. Per rendersene conto, basta dare un'occhiata ai numeri, e in particolare a quelli che riguardano i piloti cosiddetti PPL, i titolari di una “licenza di pilota privato”... quelli che con il nostro Cessnino ci vanno a spasso.

In Italia ce ne sono 250 per ogni milione di abitanti: in Francia sono il doppio, in Inghilterra il triplo e in Germania il quadruplo... per non parlare di Austria e Svizzera, dove oltre un cittadino su 1000 pilota un aereo da turismo a fini sportivi e di diporto. E tutta questa gente che vola genera indotto,  manutenzione, strutture: in poche parole, posti di lavoro e soldi.

E poi diporto significa anche turismo aereo (si badi bene, turismo con l'aero, non turismo in aereo), quel turismo aereo i cui flussi, da sempre cospicui nell'Europa del Nord, si stanno spostando da qualche anno verso la Spagna e i paesi balcanici, tagliando ancora una volta fuori il nostro paese, che pure avrebbe, per morfologia e attrazioni turistiche, tutte le carte in regola per costituire una destinazione appetibile.

E così, per raccattare quelli che alla fine saranno quattro spiccioli, si finisce col dare il colpo di grazia a un settore da anni asfittico, rinnovando la miopia di certe scelte che da sempre hanno penalizzato l'aviazione da turismo italiana.

Ignorata e trascurata nella maggior parte dei casi, ci si ricorda che esiste solo quando c'è da “inchiodare” alle loro responsabilità civiche “quei ricconi che vanno in giro in aereo”... fosse anche un Cessnino scalcagnato che costa la metà del SUV col quale certi “nullatenenti” accompagnano a scuola i figli.

(20 dicembre 2011)

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