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Io volevo un hot dog

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In America c'è sempre, pressante, una comunicazione che incita al consumo: devi consumare; anche cose che non ti servono; anche cose che butti nel cestino, ma che non hai usato, come mi capitò di vedere insieme a due colleghi, mentre eravamo in gita a Disneyland nel giorno libero tra un volo e l'altro.

I parchi divertimento americani sono l’equivalente dei musei Vaticani a Roma; ci devi andare, se non altro per capire se Disneyland è quella fuori o quella dentro le mura.

Noi eravamo dentro ed all’ora di pranzo ci fermammo nel chiosco degli hamburger e degli hot dog per uno spuntino. Prendemmo il vassoio, avvicinandoci alla cassa, chiedendo se ci fossero delle bustine di ketchup o di maionese. Senza rispondere ne prese una manciata, mettendone almeno dieci per vassoio. Replicammo che non erano necessarie tutte quelle bustine, dato che ne avremmo utilizzata una ciascuno. Ci rispose che non era importante, poiché erano comunque incluse nel prezzo.

Mangiammo, utilizzandone, come previsto, una ciascuno. Alla fine dello spuntino portammo i vassoi con le bustine intatte, ancora sigillate, per poterle far riutilizzare in seguito ad altri clienti. Anche qui, per tutta risposta, l’addetto al bancone, con aria catatonica, prese i vassoi e li gettò integralmente nel cestino.

Solo a tarda sera tornammo sull’argomento. Ognuno di noi aveva pensato, indipendentemente dagli altri, a quello spreco inutile. In pratica, ci sono stati imprenditori che hanno investito nelle sementi, contadini che hanno lavorato i campi, biologi ed agronomi che hanno studiato il terreno per ottimizzare la resa del raccolto, operai che hanno stipato le derrate alimentari nei magazzini, autisti che li hanno trasportate in una fabbrica dove un altro imprenditore aveva investito energie, mezzi e uomini per sigillare quel po' di ketchup.

Nel frattempo, ci sono stati petrolieri che hanno scatenato guerre per l’estrazione del petrolio del Golfo, raffinerie che hanno trasformato il greggio nella plastica, dalla quale è stato prodotto l’involucro sigillato con il quale vengono avviluppate queste bustine, che a loro volta sono commercializzate da un imponente apparato pubblicitario che spinge le persone a mettere il ketchup anche sulla torta nuziale.

Dopo tutte queste peripezie, dalle quali deriva questa stupida, insignificante bustina di ketchup, il garzone dello stand degli hot dog, con occhio da bue e sguardo inespressivo, la prende, così come l’hanno comprata, e la butta, ignaro di due miliardi di persone che non hanno nulla da mangiare, delle guerre scoppiate per quella fottuta bustina, delle energie spese da milioni di persone che sono dietro la transazione dell’hot dog.

Tra l’altro, da lì ricomincia un altro ciclo dello smaltimento dei rifiuti, che deve scindere ciò che l’uomo ha creato dal nulla e riportarlo, attraverso una serie di investimenti pazzeschi, ad una dimensione gestibile e sostenibile.

E' proprio vero: non viviamo nella civiltà del consumo, ma dello spreco. Infatti tutti e tre abbiamo pensato che non si è solo sprecata solo una bustina di ketchup, ma anche tutti gli anni per fornire un'istruzione al commesso dello stand che ci ha venduto gli hot dog.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(17 gennaio 2012)

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