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Un po' di storia...

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Il sistema del trasporto aereo, fino a non molto tempo fa, modificava il proprio assetto solo in conseguenza di qualche incidente grave. Il punto di svolta, che faceva cambiare regole, comportamenti e abitudini, si manifestava in occasione dell’incidente.

Questa mentalità viene definita “reattiva”: ci si concentra sulle dinamiche che hanno portato all’incidente, si individuano responsabilità personali (sia individuali che di gruppo) e si modificano di conseguenza le norme attraverso le quali il lavoro veniva svolto.

Secondo questa teoria, è il singolo individuo che ha sbagliato, ed avendo commesso “attivamente” un errore è l’unico responsabile di quanto accaduto. Si tratta di un legame lineare tra causa ed effetto: compimento dell’errore e verificarsi dell’incidente.

“Errore umano” è un’espressione che è stata largamente utilizzata in passato, con l’obiettivo di liquidare il problema di assegnazione di responsabilità e, a partire dagli anni ’70, ci si concentra sull’uomo in quanto portatore di difetti. Contemporaneamente, iniziano a proliferare gli studi mirati alla conoscenza dei processi cognitivi.

Il termine “errore umano” evoca incapacità, imperizia, o al meglio, il raggiungimento di limiti propri degli individui. Fioriscono le ricerche volte alla classificazione e quantificazione, nella speranza che un successivo processo di prevenzione e correzione delle azioni errate dell’uomo possa portare a garantire la sicurezza.

I primi studi vennero effettuati sulla capacità psico-fisica dell’uomo in relazione ai parametri di volo come l’effetto dell’aria rarefatta sulle capacità cognitive (ipossia, anossia), gli studi sull’equilibrio, sulle accelerazioni di gravità e così via.

Il motivo fondamentale era da rintracciarsi nel numero di perdite che si riscontrava nei combattimenti aerei dove spesso non si veniva abbattuti dal nemico, ma dai propri errori di pilotaggio. La causa primaria di incidente era così attribuita al cosiddetto Loss of Control, cioè la perdita del controllo dell’aereo dovuta a eccessiva velocità, scarsa velocità (stallo), eccessivo angolo di inclinazione laterale, ecc.

Quando, nel secondo dopoguerra, si sviluppò il volo di linea regolare, civile,vennero analizzati altri aspetti come la fatica operazionale, dovuta a perdita di sonno, di alterazione dei cicli circadiani, di effetto dei bio-ritmi sulle prestazioni.

Per contrastare l’insorgenza di incidenti fu adottato l’approccio ingegneristico, che consiste nel dotare l’aereo di automatismi in grado di abbassare il carico di lavoro del pilota nei momenti topici del volo. La curva degli incidenti, cioè il numero di incidenti per milione di decolli, si abbassò notevolmente in seguito all’introduzione della tecnologia a bordo.

In questo contesto, c'è però da notare il limite di certe forme di addestramento di alcune aerolinee, che confondono l’insegnamento necessario per operare in seno alla complessità come semplice ottemperanza alle direttive minime imposte dagli enti regolatori. L’essenza stessa dell’addestramento slitta così impercettibilmente dalla trasmissione di “sapere situato”, che un pilota più anziano riversa sul giovane, ad un semplice veicolare nozioni de-contestualizzate, spesso con l’ausilio di strumenti multi-mediali come il computer.

I mistake, infatti, sono tipi di errori che consistono nel non saper adeguare mezzi e fini. In questo caso, c’è una perdita di situational awareness, cioè la non consapevolezza delle dinamiche effettive che si stanno vivendo e delle possibili conseguenze che le azioni intraprese avranno, anche a distanza di tempo.

Spesso, gli errori classificati come mistake derivano da un carente addestramento, da una scarsa conoscenza del contesto operativo sia in termini reali che virtuali, nel senso di mancanza di esperienza dovuta alla mancata simulazione degli eventi.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(13 aprile 2012)

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