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Gli aerei all'amianto

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Alcuni servizi apparsi in questi giorni su diversi media nazionali hanno fatto tornare di attualità la questione della contaminazione da amianto. Materiale ormai riconosciuto altamente cancerogeno, l'amianto ha trovato fino a pochi anni fa largo impiego in aviazione.

E infatti proprio dall'aviazione commerciale traggono spunto gli articoli ai quali abbiamo accennato in apertura. In essi si rende conto di come le operazioni di demolizione condotte su alcuni vecchi aerei in sosta nell'area hangar di Fiumicino, interrotte a seguito di una segnalazione della sezione trasporti dell'Italia dei Valori, siano riprese senza che apparentemente vengano rispettate le stringenti normative di bonifica e sicurezza previste dalla legge.

Gli aerei in questione sono dei vecchi MD-80, che a partire dalla metà degli anni 80 del secolo scorso e per oltre vent'anni, avevano costituito il nerbo della flotta di medio raggio di Alitalia. Con la chiusura della “vecchia” compagnia, molti di essi sono stati “messi a terra” e liquidati dall'amministratore straordinario. La maggior parte è finita ai quattro angoli del mondo, e ancora sta volando per compagnie bulgare, nigeriane e perfino colombiane, magari riciclati da agenti commerciali specializzati in operazioni di leasing, mentre alcuni, poco meno di una ventina, ancora operano per conto della “nuova” Alitalia di Colaninno.

Gli MD-80 dei quali i giornali si sono occupati ultimamente sono quelli che, rimasti inutilizzati da Alitalia-CAI e invenduti ad altri offerenti, erano restati malinconicamente parcheggiati sui piazzali di Fiumicino. Come quasi tutti gli aerei di quella generazione, impiegano largamente l'amianto in molti impianti, primo fra tutti quello frenante.

Gradualmente soppiantati dai freni in carbonio, i vecchi ceppi-freno degli aerei (costituiti da “pacchi” che assemblano fino a dieci dischi) montavano ferodi all'amianto, che garantivano una buona resistenza al surriscaldamento ma, come tutte le parti di un impianto frenante, andavano naturalmente soggetti ad usura.

Ad ogni frenata venivano così rilasciate nell'atmosfera minuscole particelle di amianto che andavano a depositarsi su piste, vie di rullaggio e piazzole di sosta. Al successivo passaggio di altri aerei su quelle piste, quelle vie di rullaggio e quelle piazzole, le frazioni di materiale cancerogeno venivano risucchiate dai motori, e siccome la climatizzazione e la pressurizzazione sfruttano aria compressa proveniente appunto dai motori, finivano con l'entrare in circolo all'interno della fusoliera.

E qui restavano (restano) per lungo tempo, visto che per ragioni di economia, l'aria che equipaggi e passeggeri respirano viene fatta ricircolare, senza che i filtri di depurazione riescano a liberarla delle particelle di amianto, troppo piccole per essere intercettate. La contaminazione finisce dunque con l'interessare non solo gli MD-80, ma anche ogni altro aereo (benché munito di moderni freni al carbonio) che si trovi a transitare sulle piste, dove nei momenti di punta si arrivano a contare oltre 40 “movimenti” (tra atterraggi e decolli) in un'ora, a spostarsi lungo le vie di rullaggio, a stazionare nelle piazzole di sosta e nei parcheggi.

Ma il problema non si esaurisce con i freni, visto che, per ammissione degli stessi costruttori di aerei e componenti, le parti in amianto a bordo si contano a centinaia: guarnizioni, supporti, intercapedini isolanti, filtri, guanti di protezione (sic!), e perfino i forni destinati al riscaldamento delle vivande servite ai passeggeri.

Le organizzazioni professionali di tecnici, assistenti di volo e piloti (che più di ogni altro soggetto sono esposti all'inalazione di fibre di amianto) hanno da lungo tempo gettato l'allarme, e si sono mosse per ottenere un riconoscimento, anche ai fini previdenziali, di questa situazione di rischio.

I risultati fin qui ottenuti sono però frammentari, nonostante l'impegno profuso anche da numerosi centri di medicina del lavoro, tra i quali quello dell'Ospedale di Siena.

(27 aprile 2012)

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