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Rifornimento...

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Un effetto involontario del vertiginoso aumento del prezzo della benzina negli ultimi mesi, è che il traffico nelle grandi città è diminuito, e i benzinai sembrano anime in pena in attesa del prossimo cliente che rifornisca almeno 30 euro per arrivare al più vicino distributore e rabboccare.

Solo così può sperare di arrivare al lavoro, e c’è addirittura anche chi ha dovuto vendere la macchina per fare il pieno. Negli aeroporti non siamo ancora arrivati a queste situazioni paradossali, anche se gli aerei volano con sempre meno carburante per non consumarne troppo.

La domanda che alcuni amici mi fanno spesso è: “Ma dove si trova il distributore, in aeroporto?”. In realtà, quello del rifornimento carburante è un ambito che presenta una certa complessità. Anzitutto, l’aereo a jet non va a benzina, fortunatamente, ma a cherosene, che costa meno.

Anche se noi continuiamo, imperterriti, a chiamarlo carburante per analogia con quello dell’automobile, in realtà il cherosene dovrebbe chiamarsi combustibile, perché i prodotti usati vengono iniettati e polverizzati per partecipare alla combustione e perciò, non si miscelano al comburente (aria) spontaneamente per carburazione.

Anche se i motori degli aerei potrebbero ingurgitare di tutto, tuttavia, l’aviazione civile, soprattutto nel volo di linea, richiede dei requisiti molto alti per quanto riguarda l’affidabilità, la purezza, la contaminazione del carburante. Viceversa, gli aerei militari, da questo punto di vista, sono concepiti per poter rifornire l’aereo in qualsiasi condizione, in qualsiasi posto. Insomma, sono di bocca buona.

Generalmente, dicevamo, gli aerei di linea vanno a cherosene, che è praticamente petrolio meno raffinato della benzina. Pur essendo stato utilizzato fin dall'inizio nei motori degli aerei a jet, si è successivamente passati dal cherosene puro a miscele con altre sostanze, ideate per migliorarne le caratteristiche. Ultimamente, si è scoperto che gli additivi del cherosene hanno proprietà che possono nuocere alla salute. In pratica, dato che l’aria respirata in cabina passeggeri è prelevata dai motori, qui le sostanze additive modificano la propria struttura chimica ed entrano nei condotti dell’aria condizionata.

Per non turbare gli ipocondriaci, torniamo al tipo di cherosene utilizzato. Esso deve avere determinate caratteristiche per una serie di ragioni. Anzitutto, deve sopportare un’escursione termica notevole. Si può partire, infatti, da Il Cairo con temperature di oltre 40°C ed arrivare alla quota di crociera dove ci troviamo a 50°C sotto zero per poi ridiscendere verso un aeroporto ad alta temperatura.

Le proprietà di questo combustibile sono la volatilità, la densità, il punto di congelamento, il punto di infiammabilità, il punto di accensione. Queste caratteristiche dipendono dal tipo di cherosene, che non è sempre uguale. Come spesso succede, non esiste un unico standard internazionale per definirlo: gli americani utilizzano la sigla JP seguita da un numero, mentre dal 1966 è stato introdotto un tipo di cherosene per gli aerei a jet civili che è denominato Jet A o Jet B, che in definitiva corrisponde alle caratteristiche di quello americano, mantenendo un nome diverso.

Il Jet B è anche chiamato Wide Cut Fuel in quanto è petrolio tagliato al 30% circa con benzina, mentre il Jet A è solo cherosene, e si differenzia dal Jet A-1 per il più alto punto di congelamento, che è la temperatura alla quale il combustibile comincia a formare cristalli di ghiaccio: per il Jet A-1 è -47°C.

Uno si potrebbe chiedere: ma come, se volate a –50°C il carburante ghiaccia? In realtà no, perché il carburante è nelle ali e dato che l’aereo sfreccia a velocità medie di 900 km/h, questa velocità fa aumentare, per attrito, la temperatura delle ali. Di conseguenza, il carburante che si trova nelle ali, mediamente, ha temperature di una ventina di gradi superiori a quelle dell’aria esterna.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(15 maggio 2012)

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