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Solo cinque giorni?

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“Punti di vista!” così si conclude il secondo dei tre articoli (il terzo arriverà presto... stay tuned) che il nostro inviato Enrico Stupazzini ha dedicato alla presentazione italiana dell'ultimo nato di casa Boeing, il B-787 Dreamliner. Punti di vista che toccano da vicino un tema caro ai piloti.

Perché i punti di vista in questione, espressi da due pezzi grossi di Boeing, riguardano un tema molto delicato, che è quello dell'addestramento necessario affinché un pilota di linea possa passare da una macchina all'altra, e in particolare al già citato B-787.

“SOLO 5 giorni...” secondo il capopilota del progetto, e “BEN 5 giorni...” secondo il chief engineer dello stesso progetto. Ora, il problema vero, secondo alcune testimonianze di piloti già impegnati nel cosiddetto “passaggio macchina” sul nuovo aereo, sta proprio in questi “5 giorni”.

Che a loro avviso (dei piloti), sono pochi.

Perché il Dreamliner è un aereo che presenta, rispetto ai suoi predecessori di casa Boeing, non poche novità, e sono novità che ne fanno un aereo dalle filosofie molto più simili a quelle (a più riprese contestate) della concorrente Airbus.

Fin dall'entrata sul mercato (quasi 25 anni fa, nel 1988) dell'Airbus A-320, il mondo dei piloti professionisti si è diviso sul tema dell'adozione di livelli di automazione talmente spinti da determinare un grosso problema di adattamento e di comprensione da parte di chi, questi aerei, è delegato a far volare in sicurezza sia in condizioni normali che in situazioni di emergenza.

L'argomento dell'eccessiva automazione (e dei suoi rischi) è sempre stato chiamato in causa dai detrattori di Airbus, saldamente aggrappati alle più umane filosofie di Boeing. Ma è un dibattito che pare ormai destinato ad essere definitivamente messo a tacere da quella che alcuni, con discutibile neologismo, hanno definito come “airbussizzazione” di Boeing.

E quello che in questo quarto di secolo è stato rimproverato agli aerei Airbus, è il fatto di adottare soluzioni operative tali da rendere molto facile la cosiddetta “uscita dal loop”, volendo con ciò significare la difficoltà, da parte dei piloti, di mantenere la consapevolezza di quello che la macchina sta facendo. Detto in poche e brutali parole: diventa difficile per i piloti, soprattutto per quelli di nuova formazione, che non hanno alle spalle una consolidata esperienza di volo su macchine classiche, acquisire quella airmanship che consenta loro di mantenere il controllo dell'aereo anche quando gli automatismi, in qualche modo, li tradiscono.

Perché se da un lato l'informatica sempre più diffusa è senz'altro in grado di facilitare il compito dei piloti quanto “tutto va bene”, alla prova dei fatti ci si è accorti che in condizioni “degradate” diventa estremamente difficile, per i piloti, riprendere in mano il controllo di una macchina le cui logiche di funzionamento sono (forse) chiare solo agli ingegneri che le hanno progettate.

In questo senso, l'introduzione di nuovi e più sofisticati automatismi rischia dunque di trasformarsi in un'arma a doppio taglio, con i piloti sempre più confinati nel ruolo di operatori di sistemi complessi i cui principi di funzionamento sono di ardua comprensione... tanto ardua da rendere problematico l'intervento umano in caso di emergenza.

A fronte di tutto ciò (e l'incidente del volo AF 447 del quale Manuale di Volo si è a più riprese occupato pare dimostrarlo) l'unico vero antidoto sembra risiedere in una politica che preveda tempi di addestramento e di assimilazione delle novità ben più lungo dei cinque miseri giorni vantati dalla Boeing per passare dal B-777 al B-787.

(17 maggio 2012)

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