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Il pilota "scarso"

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Il giallo squillante del cespuglio di ginestra abbarbicato sul terrapieno, poco oltre la rete di recinzione alla nostra destra, sembra decisamente fuori posto nella buia luce grigia di questo pomeriggio di fine maggio che ben poco ha di primaverile.

Come usa dire “le mezze stagioni non esistono più”, e in effetti pare proprio di essere tornati a febbraio: tira vento e dense nubi basse gonfie di una pioggia rabbiosa si rincorrono nel cielo mentre stiamo lentamente risalendo la via di rullaggio verso la pista di decollo. Ci precedono altri cinque aerei, il che significa che ci vorranno almeno altri dieci minuti prima di prendere il volo.

Siamo “numero sei” al decollo, come si dice in gergo, e l'ho appena annunciato ai passeggeri, e anche a loro ho detto che prevediamo un tempo di attesa di una decina di minuti. Ma forse sono stato un po' ottimista, perché sull'unica pista a disposizione, oltre ai decolli si stanno svolgendo anche gli atterraggi, e l'operazione di incastro tra partenze e arrivi finisce col rallentare la normale cadenza del traffico.

I fari degli aerei in arrivo, li vediamo spuntare dalle nubi all'ultimo momento, poco davanti a noi e sulla nostra sinistra, e siccome il vento soffia perpendicolarmente alla pista, ce li ritroviamo puntati in faccia. Sembra quasi che, anziché andare verso la pista, vengano nella nostra direzione, ma è solo un'impressione.

Stanno, come si dice, “correggendo la deriva”, e fidandosi delle indicazioni degli strumenti di bordo (il famoso ILS – Instrument Landing System) mantengono una prua leggermente spostata controvento. Questo consente loro di seguire una traiettoria esattamente allineata con l'asse della pista sulla quale andranno a posarsi. In definitiva, fanno come i granchi: camminano di traverso. E in effetti, in inglese, questa tecnica di correzione degli effetti del vento si chiama proprio crab angle, angolo del granchio, e ne abbiamo già parlato in queste pagine.

Ma se per aria si può procedere di traverso, questo non è più possibile a terra, perché toccare la pista senza essere allineati col suo asse implica nel migliore dei casi una sollecitazione non certo salutare per pneumatici, ruote e carrello, e nel peggiore una perdita di controllo laterale, con susseguente sbandata. Si rischia insomma di uscire di pista o di subire lo scoppio di un pneumatico.

E allora, prima di toccare terra, ci si dovrà riallineare con l'asse della pista, ed è appunto quello che stanno facendo gli aerei che stanno atterrando alla nostra sinistra. E siccome escono dalle nubi a una quota molto bassa, la manovra va fatta in fretta e, ovviamente, bene. Dal nostro posto di osservazione (privilegiato, siamo proprio in prima fila), io e il mio collega seguiamo le loro manovre e, com'è naturale, commentiamo quello che vediamo.

E c'è quello che mi risveglia una punta di invidia, perché ha letteralmente appoggiato sulla pista il suo 747, che non è esattamente un giocattolino, come se fosse una piuma: l'ala sinistra leggermente abbassata, per contrastare fino all'ultimo le raffiche di vento, cosicché le ruote del semicarrello di sinistra, appunto, hanno toccato terra per prime, seguite subito dopo da quelle dell'altro lato e, poco più tardi, dal carrello anteriore... insomma, una manovra da manuale.

Manovra che non riesce a quello dopo, che pochi metri prima di toccare terra è costretto a correggere bruscamente l'assetto del suo aereo, abbassando all'improvviso il muso e riportandolo poi verso l'alto proprio a pochi centimetri da terra, per evitare che il ruotino anteriore colpisca il terreno prima del carrello principale: ne viene fuori un atterraggio particolarmente duro, e lo sottolineo con un involontario “AHI...!” che fa sorridere il mio collega.

Il terzo poi continua a cambiare continuamente la prua del suo Airbus, come se trovare il giusto allineamento con l'asse della pista gli riuscisse oltremodo difficile...

Insomma: non c'è un atterraggio uguale all'altro, ma non vi chiedete quale dei tre piloti sia il più abile, perché oggi la situazione (alla faccia della primavera, che evidentemente esiste solo sulla carta... del calendario) è davvero complicata, con la pista che, tra nubi e scrosci di pioggia, si riesce a vedere solo all'ultimo momento, e le raffiche di vento che cambiano continuamente.

E magari il più bravo, ammesso che ci sia un “più bravo”, ha avuto la sfortuna di beccare un colpo di vento particolarmente maligno proprio all'ultimo momento, ritrovandosi così a fare la figura del “più scarso”.

(24 maggio 2012)

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