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Il carburante di AF 447

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La lettura del rapporto finale d'inchiesta sul volo AF 447, insieme a spunti molto interessanti dei quali torneremo ad occuparci, presenta anche delle lacune, e una di queste è la maniera sostanzialmente sbrigativa con la quale il BEA affrontata e “risolve” la “questione carburante”.

“La quantità di carburante presente a bordo era conforme ai regolamenti in materia...”, recita il rapporto, ma la sicurezza non è soltanto una questione di “smarcare” caselle e spulciare regolamenti. E la lettura del rapporto dimostra che quella notte, come spesso accade sul lungo raggio, la Rio-Parigi era una di quelle tratte che i piloti definiscono “al limite”: una rotta dove il minimo carburante legale e quello necessario a compiere il volo sono molto vicini... tanto vicini da fare inizialmente prendere in considerazione l'ipotesi di una pianificazione RIF.

Alla fine dei conti, la RIF è stata di poco evitata, anche se il volo (così come appare dalle cifre riportate nel rapporto) è rimasto comunque “al limite”, tanto è vero che i piloti hanno a più riprese discusso sulla possibilità di salire a una quota che, oltre a portarli fuori dalle perturbazioni, consentisse loro di consumare meno. Salita che non è stata tuttavia possibile a causa di temperature dell'aria leggermente superiori al previsto.

Ma cosa è questa RIF? Alla lettera “riautorizzazione in volo”, la Reclearance In Flight è una procedura che consente di diminuire la quantità del cosiddetto contingency fuel, evitando così due eventualità che, se dal punto di vista tecnico e operativo sono antipatiche e poco gradite, da quello economico e commerciale sono viste addirittura come una calamità. La prima è quella di dover sbarcare merci e/o passeggeri per rientrare nel peso massimo al decollo, e la seconda è quella di imbarcare comunque tutto il carico pagante (a scapito del carburante), e di essere costretti a fare uno scalo intermedio (il famigerato extra-scalo) per rifornirsi.

La riduzione del contingency fuel (che per definizione serve a garantire contro eventuali maggiori consumi dovuti a deviazioni dalla rotta e/o dalla quota) passa attraverso un “artificio” che consiste nel pianificare un volo verso una destinazione fittizia, ma situata lungo la rotta e quindi più vicina di quella reale. Nella pianificazione RIF, il quantitativo percentuale che definisce il contingency non è calcolato sulla base dell'intero volo, ma solo sulla porzione di esso che va dal cosiddetto decision point alla destinazione reale. Il tutto, su tratte lunghe, consente di fare a meno di un paio di tonnellate di kerosene, che possono essere sostituite da merce e/o passeggeri. Saranno i piloti, una volta arrivati al decision point, a verificare con esattezza la quantità di carburante rimasta a bordo, e a decidere se continuare verso la destinazione reale o dirottare verso quella fittizia per effettuare un rabbocco e poi ripartire.

L'esperienza dimostra che la decisione si gioca spesso su pochissime centinaia di chili di kerosene, il che significa che la maggior parte dei voli di lungo raggio decolla in una sorta di “zona grigia” che diventerà “bianca” (si va a destinazione) o “nera” (si dirotta all'alternato) in funzione delle situazioni realmente incontrate e delle decisioni prese dall'equipaggio per affrontarle. E se per i “commerciali” il dirottamento è, come abbiamo detto, una calamità, anche i piloti tendono ad evitarlo, perché una scelta del genere li sottopone a un supplemento di lavoro, il quale arriverà al termine di un volo già di per sé lungo, faticoso, e spesso condotto di notte.

Diventa a questo punto quasi normale che, a poco a poco, il modus operandi degli equipaggi di lungo raggio si sia modificato, spingendoli a minimizzare sempre e comunque le deviazioni dalla rotta: quei 300 kg (tanto per fare un esempio) di consumo necessari ad aggirare con più ampio margine una situazione di cattivo tempo possono infatti fare la differenza, e costringere a un extra-scalo.

Non è quindi da escludere (e a nostro avviso il rapporto finale non esplora a sufficienza questa ipotesi) che la scelta di volare così vicini a una zona temporalesca sia stata dettata anche dall'inconfessato desiderio di minimizzare i consumi, già peggiorati dall'impossibilità di salire. Circostanza aggravante: il progressivo perfezionamento dei radar meteorologici di bordo ha indotto una falsa (almeno nel caso di AF 447) sicurezza in relazione alla distanza minima da lasciare tra l'aereo e la perturbazione che si vuole evitare.

Qualsiasi pilota che, come me, abbia fatto i suoi primi voli di lungo raggio condividendo il cockpit (all'inizio della carriera) con comandanti ormai prossimi alla pensione e (ormai alla fine della stessa carriera) con giovani copiloti appena formati, ha potuto verificare di persona che, nell'arco di una ventina di anni, i margini per evitare una zona temporalesca si sono andati progressivamente riducendo. E se all'inizio della carriera giudicavo esagerate, per un verso, le precauzioni dei “comandantoni” più anziani, mi sono ritrovato alla fine a ritenere eccessiva, per il verso totalmente opposto, la disinvoltura di cui danno prova i “pilotini” più giovani.

E c'è di più: il fatto che nella stragrande maggioranza dei casi tale disinvoltura sia premiata da un risparmio di tempo e carburante ha in qualche modo abbassato le difese psicologiche dei piloti (che finiscono col passare sempre più vicini), del management (che spinge per una sempre maggiore riduzione dei costi) e, dulcis in fundo, degli enti regolatori, i quali hanno progressivamente ridotto il quantitativo del contingency fuel, fino a portarlo a uno striminzito 3%.

Insomma, e qui il discorso partito dal caso AF 447 si allarga e diventa generale, stretti tra pressioni di origine puramente economica e la quasi innata propensione a portare a termine la missione loro affidata (gli studiosi definiscono questo atteggiamento come task oriented), i piloti mostrano la preoccupante tendenza a erodere certi margini di sicurezza un tempo ritenuti intoccabili.

A questo punto, è forse il caso di chiedersi se i vantaggi economici indotti da queste sempre più sofisticate alchimie sui consumi di carburante valgano il prezzo di 228 vite umane.

(2 agosto 2012)

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