Iscrizione Newsletter

Iscriviti alla Newsletter



Login

Dove gli aerei resuscitano

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaE-mail

In un articolo pubblicato all'inizio dell'estate (Dove vanno a morire gli aerei), abbiamo accennato ai cimiteri di aerei per lo più esistenti negli immensi spazi degli Stati Uniti, anche se, a dire il vero, depositi di rottami aeronautici sorgono un po’ dovunque nel mondo.

Sono siti che a volte hanno consentito insperati recuperi di velivoli storici, ma che certo nulla hanno a che vedere con le distese infinite di centinaia di aerei, a volte anche funzionanti, conservate nei campi americani. Oggigiorno si tende a considerare questi luoghi anche musei, ed in effetti, vi vengono conservati aerei tanto rari da meritare un museo.

La zona più favorevole per questi “cimiteri” è la parte meridionale dell’occidente americano, zone desertiche con suolo alcalino a quote relativamente alte e prive di umidità, quindi tra aria rarefatta e mancanza di umidità condizioni di scarsissima ossidazione e corrosione per i metalli. Il più grande e più famoso di questi cimiteri di aerei è nei pressi di Tucson, Arizona, ed è soprannominato “l’ossario degli aeroplani”.

Si tratta del 309° Aerospace Maintenance and Regeneration Group, ubicato all’interno della Base Aerea Davis-Monthan dell’USAF. Il reparto ha iniziato a conservare aerei a partire dalla fine della seconda guerra mondiale (1946), quando gli aerei in surplus erano accantonati per poter essere eventualmente riutilizzati in caso di necessità. La resistenza elevata del terreno consente anche il vantaggio della movimentazione degli aerei senza la necessità di asfaltare la superficie. La base copre un’aerea di 11 chilometri quadri ed è un impianto che produce profitto: per ogni dollaro speso se ne incassano 11 dalla vendita di pezzi di ricambio o di aerei completi.

Il vicino Pima Air&Space Museum organizza visite guidate in autobus tra il migliaio di aerei conservati nella base. La base è anche uno dei luoghi deputati alla distruzione di missili ed aerei strategici in base agli accordi di disarmo START. E non lontano c’è il Pinal Airpark dedicato alla conservazione degli aeroplani civili. Insomma Tucson, con le migliaia di aeroplani conservati, può ben fregiarsi del titolo di museo aeronautico all’aria aperta.

Nel mondo però non ci sono solo cimiteri di aerei, ci sono anche posti dove i vecchi aerei vengono fatti tornare a nuova vita.

In un recente documentario della CNN è stato descritto uno di questi impianti, ubicato in Europa. In effetti, per l’impianto europeo, la filosofia di gestione è più diretta verso la “metempsicosi” che non al semplice riciclo di materiali, come sostiene Sebastien Medan dirigente della compagnia.

L’azienda è la Tarmac Aerosave, frutto di una collaborazione tra Airbus e Sita France (il ramo specializzato di Suez per l’ambiente), situata sull’aeroporto di Tarbes... che è anche l’aeroporto che serve Lourdes, il che non è male come simbolo di rinascita.

Il nome è prettamente aeronautico anche se frutto di un acronimo: Tarbes Advanced Recycling & Maintenance Aircraft Company, ovvero Tarmac, che a sua volta in aeronautica significa superficie in macadam bitumato, dall’inglese tar-macadam, anche se verrebbe da dire dallo scozzese, essendo J.L. Mac Adam un ingegnere scozzese inventore del modo di concepire le superfici stradali.

Secondo l’impresa francese, parliamo della prima compagnia industriale indirizzata alla “decostruzione” degli aerei in fin di vita, nel pieno rispetto delle necessità ambientali.

In effetti, in Europa non si dispone di spazi desertici adatti alla conservazione dei materiali aeronautici perciò il riciclaggio diviene un obbligo, anche considerando che l’attuale stato di difficoltà finanziarie delle compagnie aeree farà volare molto a lungo i vecchi aerei con la conseguente necessità di recuperare parti di ricambio.

Eclatante la differenza di spazio rispetto all’America: circa 10 ettari, più un’immensa aviorimessa da circa 8.000 metri quadri in grado di accogliere  qualsiasi tipo d’aereo incluso l’Airbus 380. In ogni caso si dispone di aree per un totale di una trentina di ettari, e possono essere trattati una ventina di aerei alla volta.

Dalla nascita, tre anni orsono, sono stati trattati già 12 aerei, e secondo Airbus ci saranno circa 9.000 aerei da riciclare nei prossimi 20 anni. Si recupera circa l’87% di un aereo, le parti sono revisionate e reintrodotte sul mercato, lo scheletro viene raccolto a parte e conservato. Le cabine di pilotaggio possono diventare simulatori di volo. La speranza è di arrivare al 90% di riciclaggio, e in ogni caso quanto avanza è triturato e venduto alle fonderie.

Immagazzinare un vecchio aereo può costare un 20.000 euro il  mese, mentre smantellarlo interamente può costare sui 150.000 euro, ma poi le parti possono essere rivendute con profitto. Si può azzardare una similitudine con le autopsie dei corpi umani, considerando che questo lavoro potrà essere utile anche a migliorare i processi di costruzione dei nuovi aerei, scoprendo durante lo smontaggio le parti che possono essere migliorate in termini di resistenza alla fatica ed all’usura.

L’azienda pianifica un’espansione delle lavorazioni fino a 30/40 aerei l’anno e fino a 200 immagazzinamenti, magari inaugurando un nuovo sito.

Olivier Malavallon direttore dei progetti di innovazione di Airbus, sostiene che si passerà da un processo aeronautico industriale “dalla culla alla tomba” ad un processo “dalla culla alla culla”.

(31 agosto 2012)

RSS
RSS