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La torre, l'imbuto e lo stilista

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La chiacchiera aeronautica che ha riempito le cronache di quest'ultimo scorcio d'estate ha un nome che, più che al mondo del volo, porta a quello della moda: stiamo parlando della ormai celebre Tour Lumière di Pierre Cardin, l'ancor più celebre stilista francese di origini venete.


Il progetto, ambizioso e di indubbia bellezza architettonica, viene definito dal suo ideatore “l'inizio del Rinascimento del Veneto”, quel Veneto che insieme alla sua famiglia abbandonò a soli due anni di età per spostarsi in Francia, e prevede la costruzione di tre torri in vetro, unite da sei enormi dischi, distanti l’una dall’altra 35 metri, a “simboleggiare l’unione tra la terra e l’acqua”.

Nelle torri, e negli immediati dintorni, dovrebbero trovare spazio 25.000 metri quadri di negozi, alberghi e ristoranti, 115.000 di uffici, parcheggi e servizi, e altri 35.000 di abitazioni che costeranno ai fortunati acquirenti la modica cifra di 20.000 euro al metro quadro. Il tutto a pochi chilometri dal Marco Polo, l'aeroporto di Venezia.

E qui la fantasiosa megalomania del novantenne stilista, che ha dichiarato che questa meraviglia si farà a Venezia o non si farà, si scontra con le limitazioni, infinitamente più prosaiche, del trasporto aereo. Pare infatti, almeno a stare alle prime dichiarazioni di ENAC (l'autorità aeronautica italiana), che la Tour Lumière, alta quasi 250 metri, possa costituire un ostacolo alla navigazione aerea sul vicino aeroporto.

Dico “pare”, perché sull'onda delle polemiche immancabilmente nate, si comincia a parlare di una deroga che ENAC potrebbe concedere, anche se non si capisce come questa famosa “deroga” (ma l'Italia è il paese delle deroghe e del provvisorio che diventa permanente) possa avere la meglio sulle limitazioni imposte dalla regolamentazione internazionale.

Regolamentazione internazionale che è dettata dalla necessità di assicurare un'adeguata separazione dagli ostacoli agli aerei che, soprattutto in caso di scarsa visibilità, si apprestano ad atterrare su un aeroporto, o che da quell'aeroporto intendano decollare.

Detto in parole povere, possiamo immaginare che la traiettoria di avvicinamento per atterrare sia contenuta all'interno di una specie di imbuto che si restringe mano a mano che ci si avvicina alla pista. Se dentro questo imbuto non ci sono ostacoli, la quota minima alla quale si può arrivare senza vedere la pista (la famosa “minima di atterraggio”) è bassa: addirittura solo sei metri, come nel caso di un cosiddetto ILS di terza categoria, come quello installato a Venezia.

Se invece gli ostacoli ci sono, questa minima si innalza fino, per esempio, ai 220 metri del mitico Kai Tak, il vecchio aeroporto di Hong Kong, citato in questi giorni a sproposito da commentatori e polemisti nostrani, dove si atterrava in mezzo ai grattacieli: peccato che in laguna, d'inverno, ci sia spesso nebbia, e una minima di atterraggio come quella di Hong Kong condanni Venezia-Tessera ad almeno tre mesi di chiusura all'anno.

Un discorso analogo vale per le operazioni di decollo: anche qui c'è una sorta di imbuto, che stavolta va ad allargarsi mano a mano che si sale, e che deve garantire la sicurezza di non trovare ostacoli nel malaugurato caso di avaria ad un motore. L'eventuale presenza di ostacoli imporrà limitazioni di peso, e limitare il peso significa sbarcare merci, bagagli e passeggeri.

Ora il problema è: la Tour Lumière di quello che per l'anagrafe di Sant'Andrea di Barbarana (suo paese natale, nel trevigiano) era Pietro Cardin, questa meraviglia architettonica che pare ossessionare la vecchiaia del nostro stilista e la voglia di polemica di politici e opinion maker, è fuori o dentro da questi famosi imbuti? Se è dentro, potrà essere costruita solo a patto di limitare seriamente le capacità di traffico dell'aeroporto di Venezia.

Perché le prestazioni in decollo e in atterraggio di un aereo non ammettono deroghe, e se la prescritta separazione minima dagli ostacoli c'è, non ci sono problemi; se viceversa non c'è, delle due cose l'una: o si rimane a terra, o si va in volo lo stesso, ma solo a patto di accettare limitazioni che renderebbero assolutamente antieconomico l'esercizio del volo commerciale.

(6 settembre 2012)

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