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Occhio alle illusioni

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L’uomo è nato per muoversi su due dimensioni (avanti-indietro, destra-sinistra), Quando vola, invece, si muove su tre dimensioni: avanti-indietro, destra-sinistra, alto-basso. Questa nuova dimensione aggiunta può dare luogo, quando si è in volo, a dei fenomeni strani: le illusioni ottiche.


Occorre ricordare che le illusioni capitano a tutti, in virtù del fatto che siamo esseri umani, e che ovviamente, anche quando siamo a terra, siamo soggetti ad avere delle illusioni ottiche, cioè a valutare in maniera scorretta le dimensioni, la distanza o la velocità degli oggetti intorno a noi. Sapere che ci possono essere delle illusioni, e che queste possono capitare a tutti, e per di più in un contesto che non ci è naturale come il volo, facilita il loro riconoscimento e le azioni correttive.

Perché questo argomento è così rilevante dal punto di vista human factor? Perchè non bisogna dimenticare che in alcuni incidenti aerei tra i fattori che hanno giocato un ruolo primario rientrano proprio le illusioni ottiche. Secondo una statistica della Flight Safety Foundation nel 21.1% degli incidenti gravi le problematiche si manifestano per via di illusioni ottiche o disorientamento spaziale.

Il sistema visivo è altamente complesso e non è stato ancora compreso a fondo, sia nella sua fisiologia, sia nella storia evolutiva che ha portato alla formazione di un organo come l'occhio, così perfetto che ancora oggi, non esistono strumenti creati dall’uomo in grado di eguagliare la sua funzionalità. Volendo semplificare, possiamo immaginarlo come una macchina fotografica, le cui parti principali sono l’otturatore, il diaframma, la lente e la pellicola.

L’otturatore stabilisce il tempo di esposizione alla luce, mentre il diaframma stabilisce quanta luce deve entrare, e queste funzioni sono svolte dalla pupilla; la luce quindi passa attraverso la lente del cristallino, che ha la funzione di mettere a fuoco l’immagine sulla retina, situata nella parte posteriore dell’occhio. La retina può essere paragonata alla pellicola di una macchina fotografica. Dalla retina, l’impulso, capovolto e girato, viene inviato al nervo ottico, che trasporta l’immagine al cervello.

Eppure in questa magnifica camera fotografica, che non è ancora stata compresa a fondo dai biologi ed è un mistero anche dal punto di vista evolutivo, esiste una piccola porzione che viene definita blind spot, cioè punto cieco: infatti, in questo punto, prossimo alla retina, non arriva luce. E l’effetto di questo “punto cieco” può avere le sue brave conseguenze nel pilotaggio di un aereo, così come in altre circostanze della vita.

Un’altra caratteristica dell’occhio è che non sta mai fermo. Il mondo contiene troppo informazioni visive, ma l’evoluzione ha saputo risolvere il problema inventando la fovea che vede bene solo piccole porzioni e lascia ad altre parti del cervello il compito di ricomporre l’immagine. Non possiamo fissare lo sguardo neanche se ci sforziamo: dopo pochi decimi di secondo la pupilla “traballa” come se fosse scomoda in quella posizione e devia di qualche frazione di millimetro per poi ritornare magari nella posizione originaria.

Lo sguardo umano si sposta continuamente in un alternarsi di “saccadi” (cioè movimenti rapidi degli occhi) e pause di fissazione e segue percorsi precisi: osservando un volto per esempio lo sguardo si ferma sugli occhi, poi passa alla bocca e al naso. Successivamente esplora i contorni del viso fermandosi pochissimo sulle guance e fronte.

Per rimanere nella metafora dell’occhio come telecamera, vi sono delle funzioni che correggono gli effetti di questo scorrimento. Infatti, quando una telecamera si gira bruscamente per riprendere un’immagine spostata di lato, vi è un effetto scorrimento. Per evitare le “strisciate” che è anche possibile vedere a volte alla televisione quando un cameraman sposta rapidamente l’obiettivo della telecamera da un punto all’altro, il cervello, durante i movimenti oculari veloci si occupa anche di “spegnere” la visione.

Ciò significa che per circa un quarto del tempo durante il quale siamo svegli, noi siamo ciechi. Una saccade dura in media 50-100 millisecondi, mentre le pause di fissazione (durante le quali l’occhio vede perfettamente) sono un po’ più lunghe: circa 200-400 millisecondi. In pratica, durante una normale giornata di veglia di 16 ore, per circa 4 ore noi non vediamo nulla!

Questi brevissimi black-out della vista possono provocare anche degli errori grossolani di valutazione delle distanze. Le saccadi, infatti, oltre che i piloti, possono ingannare ad esempio un guardalinee durante una partita di calcio.

E così, anche Calciopoli ha una sua spiegazione scientifica...

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(2 ottobre 2012)

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