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Il volo è una droga

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In assenza di turbolenza, quando la giornata è bella, soleggiata, libera da nuvole, avvertiamo il volo come un fenomeno leggero, che rende magico l’incedere su tre dimensioni di un essere nato per muoversi su due. Eppure l’assenza di gravità non è così sensibile a bordo rispetto a come lo si vede da terra.

Vi sono le accelerazioni corporee positive e negative. Il sangue scorre dalla testa verso i piedi e viceversa. Lo sperimentiamo ogni giorno, quando guidiamo la macchina. Partendo di colpo, al semaforo, avremo un’accelerazione petto-schiena, mentre quando freniamo vi è un’accelerazione schiena-petto. In ascensore, abbiamo una sensazione di stomaco in gola, quando scendiamo troppo velocemente e di sangue alla testa, se saliamo ad alta velocità. Vi sono accelerazioni così potenti (la forza G, di gravità) che rendono gli arti così pesanti da far fatica a muoverli.

Allora, durante una manovra accentuata, con virata ad ali inclinate di 60° in volo livellato siamo sottoposti ad un’accelerazione di gravità di 2g (due volte la forza di gravità) il che provoca la sensazione di avere il braccio pesante il doppio del solito. Un po’ come quando mio figlio Damiano si addormenta in macchina e devo portarlo in braccio fino al suo letto.

Sveglio, pesa trenta chili, addormentato ne pesa sessanta.

Vi sono manovre però, in funzione della velocità dell’aereo e della perentorietà del cambiamento di assetto, che arrivano a svariati g-force. Se questa pressione sale oltre un certo livello serve addirittura la tuta anti-g che, attraverso una serie di vescicole in prossimità delle giunture corporee, comprime le arterie per evitare che il sangue confluisca/defluisca troppo velocemente verso la testa o verso i piedi. Nel caso in cui il sangue vada troppo velocemente verso i piedi vuol dire che sta andando via dalla testa, provocando la cosiddetta visione nera. Al contrario, la visione rossa si ottiene nel caso in cui il sangue si muova troppo velocemente verso la testa, iniettando di sangue gli occhi.

Non è solo la pressione sanguigna che incide sulle sensazioni che si provano in volo. Anche la quantità dell’aria provoca sensazioni strane. Se l’ossigeno è poco, come può succedere in un volo di alta quota, si comincia a avvertire un cambiamento dell’umore (ipossia) che gradualmente diventa mancanza grave che porta fino alla perdita di coscienza (anossia).

C’è poi la sensazione di stress da leggero ad acuto, vale a dire la percezione dei vasi dilatati, del sangue che affluisce alla testa nei momenti particolarmente impegnativi, la difficoltà del compito aumenta la tensione con effetti sulla concentrazione, sulla soglia di attenzione. Tutto il sistema limbico entra in funzione, con secrezione di adrenalina, dilatazione della pupilla, aumento di temperatura corporea, oltre alle varie modificazioni dovute anche al sistema di pressurizzazione dell’aereo. Avete fatto caso che il volo stanca, anche se siete passeggeri? Il corpo si modifica, si dilata, si restringe, si scalda e si fredda come non riuscireste a fare in un anno vissuto a terra a casa vostra.

La secrezione di adrenalina, che è necessaria per avere un livello ottimale di stress e rispondere prontamente agli imprevisti, alle deviazioni, o in casi estremi alle emergenze in volo, diventa qualcosa di simile alle endorfine per gli eroinomani.

Chi usa droghe pesanti, ad esempio eroina,non fa altro che immettere dall’esterno una particolare sostanza, le endorfine, che verrebbe comunque prodotta spontaneamente dal corpo. Se questa attività si prolunga nel tempo, il corpo smette di produrre in automatico le endorfine. A questo punto vi è la dipendenza, poiché, in caso di interruzione nell’assunzione di questa sostanza psicotropa, al corpo mancherebbe il necessario apporto di palliativi rappresentato dalle endorfine che servono per far stare in equilibrio l’organismo (benessere sia mentale che fisico).

Esattamente il contrario succede al pilota, quando smette di volare. Abituato da sempre a secernere adrenalina, utile ad attivare tutta una serie di risposte dell’organismo a fronte di pericoli esterni, si tramuta in veleno, quando il corpo si predispone alla risposta allo stress di un certo tipo e lo stress non c’è più. Considerato il lavoro del pilota medio, per ottenere una soglia di attivazione dell’organismo adeguata alla produzione spontanea di adrenalina, un pilota pensionato dovrebbe andare a rapinare una banca per ottenere un equivalente dello stress che percepiva al lavoro.

Non è raro il caso in cui il pilota muoia subito dopo essere andato in pensione, tanto da far pensare che vi sia un problema, o serie di problemi, legati al volo tanto da farlo considerare, in più parti nel mondo, lavoro usurante. Non vi sono ancora statistiche attendibili sull’indice e le cause di mortalità tra i piloti in pensione, ma qualcosa di strano ci deve pure essere se fino a pochi mesi prima tutti costoro passavano una regolare visita all’Istituto di Medicina Legale dell’Aeronautica Militare, che ne certificava la sana e robusta costituzione attraverso uno scrupoloso check up medico.

D’altra parte, come diceva il filosofo Michel de Montaigne: “Noi non moriamo perché siamo malati, ma perché siamo vivi”.

(8 novembre 2009)

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