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Quel puntino nel blu

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Uno dei paradossi del nostro modo di vedere è che noi viviamo in un mondo tridimensionale, ma sulla retina si imprime un’immagine piatta. La tridimensionalità viene ricreata dal cervello, per cui si può affermare che noi vediamo per come siamo abituati a vedere.


Nella stima delle distanze, la visione binoculare (dovuta alla distanza media di 7 cm. tra gli occhi) permette di vedere gli oggetti in forma tridimensionale solo fino ad una distanza di 12-15 metri, ma in volo, dove le distanze sono elevate, è preponderante la visione monoculare.

Nella visione monoculare il nostro cervello ricostruisce la distanza lavorando come un pittore che ha appena scoperto la prospettiva. Se si osserva un'immagine creata da un artista dell’antica Roma, ci si accorge che tutti i personaggi e gli oggetti si trovano sul medesimo piano. Non si capisce chi sta davanti e chi dietro, chi è vicino e chi è lontano. È in Italia che si scopre, intorno al XIV secolo grazie a Piero della Francesca, il trucco per far apparire la profondità in un quadro.

Si fissa un punto nel quadro dal quale partono delle direttrici lungo le quali si disegnano gli oggetti; un oggetto più piccolo sembra più lontano. Dimensioni e distanze sono intercambiabili perché un oggetto piccolo e vicino corrisponde, come impressione sulla retina, ad uno grande, ma lontano. Con questo stratagemma, che poi altro non è che il modo in cui funziona il cervello per attribuire la distanza agli oggetti, si riesce a stimare la profondità del paesaggio intorno a noi.

All'intuizione di un altro grande della pittura, Leonardo, dobbiamo la scoperta della prospettiva aerea, secondo la quale un oggetto più distante è più sfocato (o più annebbiato) per via dell’”effetto atmosfera”. L’aria, come l’acqua, è trasparente in piccole quantità, ma ha una sua consistenza su grandi masse.

C'è poi una prospettiva luminosa, che fa sì che gli oggetti opachi sembrano più lontani di quanto sono in realtà, mentre quelli luminosi appaiono più vicini: una variazione di intensità delle luci della pista può cambiare la percezione visiva di un pilota in volo.

Anche la vicinanza degli oggetti all'orizzonte e la loro eventuale interposizione aiutano il cervello a ricostruire uno scenario tridimensionale: gli oggetti che si trovano vicino all’orizzonte sembrano più lontani, mentre se se un oggetto ne nasconde parzialmente un altro, significa che è più vicino a noi.

E c'è anche la cosiddetta parallasse di movimento: vale a dire il movimento apparente di oggetti stazionari nel nostro campo visivo in movimento: girando la testa di lato gli oggetti più vicini sembrano avvicinarsi, mentre quelli lontani sembrano allontanarsi da noi.

Infine (gradiente tessutale), la superficie di un oggetto visto da lontano apparirà più compatta, e per convincersene, basta pensare ad un’immagine della Terra vista da un metro di cui percepiamo i pori o da un chilometro di distanza, che ci fa vedere un tessuto compatto.

Tutti questi elementi di aggiustamento nella stima di profondità e distanza, in un ambiente innaturale, si prestano anche a interpretazioni errate che possono interferire con l'esattezza della misurazione, tanto più che anche la stima della velocità va soggetta a “errori” di percezione.

Nella stima delle velocità, infatti, gioca un ruolo importante l'“effetto scorrimento”, cioè il movimento apparente degli oggetti rispetto al campo visivo dell’osservatore. Pensiamo alla velocità percepita se siamo su un go-kart o su un autobus: a parità di velocità, il go-kart ci sembrerà molto più veloce, poiché la velocità oculare periferica, cioè lo scorrimento degli oggetti nella visione laterale dell’occhio, è molto più alta. Quando invece siamo in aereo, ci sembra di essere fermi, semplicemente perché il terreno rispetto al quale ci muoviamo è talmente lontano che la velocità periferica nell’occhio è nulla.

Anche la stima della dimensioni di un oggetto distante è in volo difficile, poiché le distanze sono sempre elevate e non abbiamo altri oggetti più vicini con cui confrontare quelli lontani, fungendo da metro di paragone per capire se ciò che si imprime sulla nostra retina è più o meno grande. La distanza presuppone un terreno di misurazione intermedio sul quale porre le cose in rapporto al contesto, e in volo molti di questi elementi non esistono.

E' per questo che la stima delle grandezze è estremamente difficile in volo, soprattutto nel caso in cui occorre identificare altri aerei anch’essi in volo, poiché questi sono percepiti piccoli per effetto delle distanze che in aria si misurano dalle centinaia di metri in su, e senza un rapporto all’ambiente circostante.

Completa il quadro la cosiddetta empty field myopia, cioè “miopia da campo vuoto” che si verifica quando l’occhio non riesce a mettere a fuoco un puntino all’orizzonte, rappresentato da un altro aereo in volo da identificare. Infatti, quando si guarda il cielo aperto l'occhio non mette a fuoco, come si riteneva una volta, all'infinito, ma assume la posizione di riposo, il che significa mettere a fuoco ad una distanza di circa un metro, impedendoci di vedere qualcosa che è a qualche decina di chilometri di distanza.

Per vedere il famoso “puntino nel blu” (cioè identificare un altro aereo che vola nelle vicinanze) c’è un trucco: si fissa un punto a terra corrispondente alla distanza che si vuole osservare, oppure si fissa una nuvola in modo da mettere a fuoco l’occhio su quella data distanza. Fatto questo, si sposta velocemente l’occhio nella direzione dell’aereo da identificare.

Se non si ottiene risultato riprovare di nuovo fino a che non si vede l’aereo, altrimenti... visita oculistica di primo grado.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(20 ottobre 2012)

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