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Vedo... Non vedo...

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Nel corso dell’avvicinamento finale c'è sempre un momento in cui, abbandonati gli strumenti, bisogna identificare a vista la pista. Qui le illusioni ottiche sono particolarmente insidiose, anche perché in prossimità del terreno aumentano le possibilità che l’errore non sia riconosciuto per tempo.


Nella panoramica delle insidie e delle fonti di errore nelle percezioni di cui si può soffrire in questa fase, un posto speciale lo hanno gli errori indotti dal punto di osservazione. L'altezza del sedile dovrebbe essere regolata rispettando l’ERP (Eye Reference Position), il che permette di acquisire una porzione di visuale dal cockpit che consente di identificare meglio la pista e i suoi punti significativi (approach lights, threshold lights, edge lights, etc.).

Solo per fare un esempio di quello che significa sedersi correttamente a bordo, illustriamo il caso di un avvicinamento condotto con 400 metri di visibilità orizzontale e copertura nuvolosa a 100 piedi: è quello che si definisce un avvicinamenti in seconda categoria. Considerato che dall’aereo vi è una parte di terreno oscurata dalla stessa struttura dell’aereo e dall’assetto tenuto per l’avvicinamento (cut-off angle), la parte rimanente di pista visibile sarà di circa 200 metri.

Ulteriore considerazione va fatta per quanto riguarda la posizione tenuta a bordo. Alcuni piloti preferiscono regolare il sedile in basso per avere migliore visibilità interna. Però, così facendo, si limitano ulteriormente la possibilità di acquisire quanti più riferimenti visivi possibile all’esterno. Infatti il solo stare seduti tre centimetri più in basso dell’ERP comporta una perdita di circa 100 metri di visibilità, che in avvicinamenti condotti in condizioni di nebbia, possono fare la differenza.

E poi magari sta anche piovendo, e la pioggia sul windshield (finestrino anteriore) ha altri effetti negativi, perché riduce sia l'intensità luminosa che il contorno delle figure. Se le luci appaiono più fioche, si avrà la sensazione di essere più lontani del reale. Inoltre, allo stesso modo in cui abbiamo l’illusione di un bastoncino spezzato per il solo fatto di immergerlo in acqua, così avremo delle luci che possono subire l’effetto della rifrazione attraversando le gocce d'acqua sul finestrino, sembrando così spostate rispetto alla loro posizione effettiva.

In un ambiente caratterizzato da nebbia, foschia o fumo vi è la percezione di maggiore distanza rispetto alla realtà e così anche per la quota. Inoltre, per quanto riguarda il fenomeno dello shallow fog, (la nebbia bassa di superficie) vi è un problema riguardante l’assetto. La nebbia di superficie è caratterizzata dal fatto che durante l’avvicinamento l’equipaggio vede perfettamente la pista, arriva alla minima di procedura ed ancora vede bene, mentre quando arriva il momento della flare (la richiamata del muso verso l'alto per assumere il corretto assetto di atterraggio) entra in un fitto strato di nebbia che riduce sensibilmente la visibilità. A questo punto, può innescarsi l’illusione di essere troppo alti sul sentiero, con la conseguenza di abbassare bruscamente il muso e toccare il terreno con il ruotino anteriore invece che col carrello principale.

Ciliegina sulla torta, uscendo a bassa quota da uno strato di nuvole basse la visione intermittente della pista provoca nel pilota uno sforzo di accomodamento dell’occhio per mettere a fuoco oggetti a differente distanza. Osservazioni sperimentali hanno mostrato che per mettere a fuoco dalla visione prossima a quella distante occorrono circa 1,6 secondi per i piloti giovani, mentre circa 5 secondi per i piloti anziani.

Insomma, uscendo da uno strato basso di nubi, in condizioni di scarsa visibilità e sotto la pioggia, acquisire i corretti riferimenti visuali per fare un bell'atterraggio non è esattamente la cosa più semplice del mondo.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(9 novembre 2012)

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