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Bianco e nero

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Dei famosi “buchi neri” spaziali sparsi qua e là tra le galassie tutti sanno (o credono di sapere) tutto, quello che viceversa molti non sanno è che anche in aviazione esiste un fenomeno chiamato black hole, anche se nulla ha a che vedere con l'astrofisica.


Si verifica di notte, durante gli avvicinamenti condotti di notte come il mare, la foresta o la montagna, dove in mancanza di riferimenti visivi circostanti la pista illuminata sembra immersa nel buio. In queste condizioni si perde il gradiente tessutale del terreno antistante e circostante la pista col risultato di perdere anche il senso della profondità spaziale, e con esso,anche la percezione del corretto angolo di discesa.

In uno studio effettuato da Kraft e Elworth, a seguito di una serie di incidenti in cui si pensava fosse coinvolto l’effetto notte, emersero delle risultanze inquietanti. Un gruppo di dodici piloti tra i più esperti della Boeing furono invitati a sottomettersi al test dentro un simulatore. Furono posizionati ad una certa distanza e quota dalla pista, di notte, rimuovendo l’indicazione di alcuni strumenti di volo, tra cui l'altimetro, e lasciando disponibili soltanto il variometro (indicante la velocità di salita/discesa), e l'indicatore di velocità. Di quei dodici piloti, undici si schiantarono, sottovalutando l’impegno richiesto e l’illusione risultante dalla percezione di una pista immersa nel buio, senza altri ausili disponibili. Meno male che esistono i simulatori di volo...

La vista ci dà informazioni proprio sul contrasto che c’è tra il tessuto della pista, il cielo e lo sfondo (è questo che si chiama gradiente tessutale), e quando questo contrasto viene a mancare  si corre il rischio di incappare in illusioni otiche molto pericolose.

Come quella, cambiando colore, nota sotto il nome di white out, cioè la sensazione che si prova, quando si effettua un atterraggio con la nebbia e a terra c’è neve. Quindi, si passa dal chiarore della nebbia, che impedisce di vedere a lunga distanza e di apprezzare così la profondità rispetto al suolo, al chiarore della neve sottostante. In questo caso, l’orizzonte sparisce totalmente.

Si rischia così di perdere la consapevolezza della profondità che sarebbe data altrimenti dal contrasto tra terra e cielo. Ciò provoca anche un disorientamento sull’assetto dell’aereo ed è fondamentale attenersi alle indicazioni strumentali che, fortunatamente, non subiscono gli effetti delle illusioni ottiche.

Il fenomeno del white out può essere applicato anche a colori diversi, come ad esempio un atterraggio all’alba in una pista circondata dal deserto. Infatti, all’alba (o al tramonto) vi è un colore dominante, l’ambra, che è lo stesso della sabbia sottostante. Il pilota può pensare di volare in VMC (Visual Meteorological Condition, condizioni meteorologiche di volo a vista) quando in effetti ha perso la consapevolezza spaziale e del proprio assetto.

In generale, però, il white out si sperimenta con situazione di nuvole basse, nebbia e neve. In quest'ultimo caso, particolarmente insidiosa è l'eventualità di una tormenta, perché i fiocchi di neve spinti dal vento generano anche false percezioni di distanza e di velocità.

Nel biancore della neve, l'apparente (in realtà succede esattamente il contrario) incremento di visibilità causato dall'illuminazione della retina provoca una perdita di contrasto tra gli oggetti e lo sfondo, acuita dall'assenza di ombre. In uno scenario simile, e tutt'altro che raro l'innesco di un'altra illusione, la empty field myopia, di cui abbiamo già parlato e che consiste nel non riuscire a mettere a fuoco, per mancanza di stimoli sensoriali.

Come risultato, si ha la perdita del senso di profondità, di distanza e di direzione, cosa che si rivela particolarmente insidiose nella parte finale della manovra di atterraggio, la cosiddetta flare, che dipende quasi interamente dalla sensazione fisica di vicinanza o meno del suolo. Nei casi più gravi,  vi è addirittura la possibilità di andare in vertigine.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(23 novembre 2012)

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