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Pitot

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Il cosiddetto tubo di Pitot o sonda di Pitot è uno strumento aeronautico fondamentale per la rilevazione dei dati di volo di un aereo. Il nome deriva dal cognome dello scienziato che per primo si è occupato della misurazione dei flussi nei fluidi: il francese Henri Pitot.


Nato ad Aramon, piccolo borgo nei pressi di Avignone, nel 1695, studiò come astronomo e matematico, e nel 1724 fu eletto nell’Accademia Francese delle scienze. Cominciò ad interessarsi al problema del flusso delle acque nei canali e nei fiumi, e scoprì presto come molte concezioni dell'epoca fossero sbagliate. Divenuto ingegnere capo costruì numerosi canali e ponti, famoso il suo acquedotto, di foggia romana, di Montpellier, terminato nel 1786 e denominato di Saint Clément.

Sviluppò un dispositivo, più tardi noto con il nome di tubo di Pitot, per la misura della velocità dei fluidi che è da considerare accurato per l’epoca, e che è in uso anche oggi, sia per la misura delle velocità dei liquidi sia degli aeriformi. Morto nel 1771, non poté vedere completato il suo capolavoro. Che in verità, per noi italiani avrebbe un nome nazionale, cioè tubo di Venturi o venturimetro, sempre uno strumento di misura della portata di una condotta di fluido, che prende il nome dallo scienziato emiliano Giovanni Battista Venturi.

Venturi, nato a Bibbiano, nei pressi di Reggio Emilia, nel 1746, fu discepolo di Lazzaro Spallanzani, per poi essere chiamato poi ad insegnare logica, geometria e fisica. Nel 1796, a Parigi, studiò i codici di Leonardo da Vinci. Il suo importante contributo alla conoscenza della meccanica dei fluidi va ascritto alla definizione del cosiddetto ”effetto Venturi” che descrive il legame tra velocità e pressione di un fluido in un condotto. Morì a Reggio nell’Emilia nel 1822.

L'effetto Venturi (o paradosso idrodinamico) è il fenomeno fisico, per cui la pressione di una corrente fluida aumenta con il diminuire della velocità. L’applicazione pratica di questi studi, il tubo di Venturi che misura la velocità di un fluido in un condotto, costituirà poi la base degli studi sull’aerodinamica delle ali.

Nei primi aerei era applicato un voluminoso tubo a trombetta che serviva appunto per misurare la velocità dell’aereo rispetto all’aria: lo strumento misurava la velocità del fluido che scorreva dentro il tubo, che essendo fissato all’aereo dava appunto l’indicazione della velocità del mezzo rispetto all’aria. Questo è un dato essenziale perché una volta conosciuta la capacità di tenere in volo l’aereo si può stabilire qual è la velocità minima di sostentamento e quindi evitare la perdita dell’effetto di portanza, vale a dire il famigerato stallo.

Lo strumento, costituito da un tratto di tubo collegato ad un manometro differenziale, misura la cosiddetta pressione dinamica come differenza tra la pressione totale e quella statica, prelevata tramite un altro tubo detto presa statica. Con l’applicazione del teorema di Bernoulli (Daniel Bernoulli nato a Groninga nel 1700 e morto a Basilea nel 1782, grande matematico svizzero) da tale misura si risale alla determinazione della velocità.

Il tubo di Pitot, che sfrutta il medesimo principio, è leggermente differente come forma sfruttando un solo tubo più piccolo e con doppio condotto. Negli aerei moderni questo tipo di sonda è quello maggiormente utilizzato, perciò è diffuso appunto il nome di tubo di Pitot per le sonde che misurano i dati dell’aria in dinamica.

Nel dettaglio lo strumento è costituito da un corpo cilindrico, la cui estremità anteriore è arrotondata e nel quale sono state praticate due aperture, una nella parte anteriore l’altra sulla superficie laterale. Le due aperture sono chiamate prese di pressione e sono collegate tramite dei condotti interni a due trasduttori di pressione, o ai due ingressi di un unico trasduttore di pressione differenziale.

Il tubo, essendo di piccola sezione, va soggetto ad intasamenti dovuti a corpi estranei o a ghiacciamento in presenza di basse temperature ed umidità. Sono prese precauzioni al riguardo collocando le sonde in zone dove è molto difficile impattare con agenti intasanti e poi moltiplicando il numero delle sonde e diversificando le relative posizioni in modo che risulti davvero poco probabile che si possano otturare tutte contemporaneamente.

Per ovviare al pericolo del ghiaccio ed agli errori di misurazione eventualmente dovuti al cambiamento delle condizioni atmosferiche le sonde vengono riscaldate. Una volta la misurazione dei dati avveniva tramite la cosiddetta capsula aneroide (il trasduttore di cui si parlava prima), un cilindretto al cui interno si faceva il vuoto e che posta a contatto con il tubo della pressione dinamica subiva una deformazione che era misurata tramite lancette inizialmente meccaniche e poi elettromeccaniche.

Ora i dati trasmessi dal fondamentale tubicino sono misurati tramite apparecchiature elettroniche e trasmessi agli onnipotenti computer di bordo. E’ evidente che se la sonda non funziona non può fornire i dati da calcolare al computer, il quale quindi, se non ha alternative, smetterà di funzionare.

(6 febbraio 2013)

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