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Cultura aeronautica

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In Italia la cultura è un optional e, che ci piaccia o no, è per giunta di quelli meno ricercati. E' un po' come la marmellata sulle fette biscottate, meno se ne ha e più se ne spande: tutti a vantarne di ampia e profonda, ma all'atto pratico...


All'atto pratico, poi, eccoci qua a confrontarci quotidianamente con i mesti risultati di un paese in crisi di identità. Linguaggio scadente e scaduto, qualità dell'istruzione a tutti i livelli bassa, fuga dei cervelli, disinteresse per il patrimonio artistico e culturale, cinematografia spesso dal contenuto abietto, letteratura in terapia intensiva.

Ora, se questo accade nei campi di tradizionale interesse nazionale, quali l'arte, la letteratura, il teatro ed il cinema, figuriamoci cosa possiamo trovare in un campo all’interno del quale, la "cultura" nei numeri e nella pratica, non è quasi mai esistita. Parlo ovviamente della "cultura aeronautica".

Qualcuno la ricorda? Qualcuno ricorda i "corsi di cultura aeronautica" che l'Aeronautica Militare organizzava per gli studenti? E i 4 novembre all'aeroporto? Le manifestazioni aeree, le giornate del volo? E che dire di quando gli AeroClub offrivano corsi di pilotaggio a prezzo "politico"?

Vero che i soldi sono in via di totale estinzione, vero pure che forse non era il massimo della "culturalizzazione", ma erano pur sempre pietre focaie, che spesso facevano nascere in giovanetti di belle speranze i fuochi di una passione di cui oggi molti di noi portano ancora i segni addosso.

Oggi cosa abbiamo? Se prima almeno ci si provava, oggi la resa alla faciloneria è totale, in tutti i campi delle comunicazioni. Stampa specializzata, televisione, cinema, attività pratiche, diffusione delle conoscenze per il pubblico non specialista.... sul ponte sventola bandiera bianca, signori, quando anche nelle traduzioni ci si lascia andare al comune senso di felice ignoranza per tutto (e nello specifico) per tutto quello che è "aviatorio".

Chi ha la possibilità di seguire, al costo di un abbonamento a SKY, un discreto programma divulgativo quale "Indagini ad alta quota" (titolo originale Mayday, e già qui non capisco la necessita di tale adattamento: primo, le indagini si fanno a terra non in volo; secondo, mayday non suonava male e non è una brutta parola, magari con una brevissima spiegazione sul significato? Figurarsi che l'ho trovata tradotta addirittura in un improponibile "calendimaggio"!!!) si sarà accorto che gli stravolgimenti al testo originale sono numerosi, e purtroppo quasi tutti vanno in direzione di una "non cultura" aeronautica.

Scopriamo come tutti i protagonisti, ma proprio tutti, comunicano sempre e comunque con una onnipresente "torre di controllo", (invito le associazioni di categoria dei controllori di settore, avvicinamento e gli amici alle FIR a presentare esposti contro i traduttori e gli adattatori dei dialoghi).

Le scatole poi sono tutte immancabilmente nere, i motori sono “a jet” o meravigliosamente "ad elica" (ho cercato un po' in giro, ho trovato tracce e documentazione su motori a pistoni, elettrici, ad elastico, ma ad "elica" nulla...) e poi che dire delle velocità e delle quote riportate con valori che lasciano spesso basiti per la scelta a dir poco bizzarra di volare a 9476 metri ed a 473 km/h (non ho controllato se la conversione dalle originali misure in piedi e nodi sia stata effettuata puntigliosamente, ma non ho motivo per dubitarne, ed allora perché non parlare di nodi e piedi?).

Naturalmente, viste le brutte, gli equipaggi lanciano l'immancabile SOS... Non c'è quindi da meravigliarsi se si possono poi raggiungere apici di depressione, quando, in occasione della tristemente nota scomparsa di un velivolo in Sudamerica, la giornalista, commenta le immagini di un turboelica in decollo, che per l'effetto stroboscopio del video sembra decollare con le eliche quasi ferme, assumendo che dette immagini siano la prova evidente che queste compagnie secondarie “volano in totale disprezzo della sicurezza base”, del buon senso comune e diciamolo pure... delle leggi della fisica.

Ricordo un trafiletto di alcuni anni fa in cui su di un quotidiano nazionale il redattore dell'articolo lamentava che i piloti durante i lunghi voli, spesso, lasciassero la condotta del velivolo al "pilota automatico" per fare un "sonnellino"... Vogliamo fare un sondaggio da quattro soldi? Chiedete cosa ne pensano dei piloti i connazionali... lo sappiamo benissimo vero? Tanti soldi, poco lavoro, bella vita e belle donne, tutto, il resto non interessa.

Quanti, fuori di qui, sanno quando, come e perché vengono, manutenzionati gli aeromobili, o quanti pensano sia il pilota a decidere "che strada fare" da Malpensa a Fiumicino?.

Leggevo su queste pagine (si può ancora dire pagine?) a proposito della impossibilità di accedere al cockpit, vissuta da molti passeggeri come un rimpianto dei "bei tempi passati", significativo vero? Forse non era molto, ma apriva, per un attimo la stanza dei bottoni al grande pubblico.

L'italiano medio, tende per nascita a corporativizzare (come del resto a dirigere la nazionale, risolvere le crisi economiche, guidare una moto GP...) ma conoscere è sicuramente il viatico per il rispetto reciproco e la stima. La conoscenza evita la superstizione, la leggenda metropolitana, cancella la stupidità e vince il complottismo stupido.

Creare la consapevolezza (o devo dire la situational awareness?) non porta che a migliorarsi e migliorare il nostro mondo. Chiamiamola cultura, o come vogliamo, ma nel nostro piccolo dark blue world, diamoci da fare e magari spendiamo due parole in più per far vedere (quando possibile) ad un bambino ed al suo papà come funziona un pezzetto di aereo: avremo gettato un seme.

E magari ricordato cosa fece qualcun altro con noi tanti anni fa.

(10 maggio 2013)

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