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Punto di non ritorno - I

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I - Pensate al posto più lontano sulla Terra, tanto che se volete andare oltre, dovrete affrontare lo Spazio. Il posto che avrete pensato sicuramente è l’Antartide (San Giovanni in Tuscia se siete Viterbesi…): “The Coldest, the Windiest, the Dryest place on the Hearth”.


“Il posto più freddo, più ventoso e più secco della Terra”. Con questa frase ci accoglie in una fresca notte di inizio primavera l’Antartic Centre di Christchurch in Nuova Zelanda, apprestandoci all’imbarco sul volo che ci porterà sull’ultimo continente ad essere stato calpestato (purtroppo in molti sensi) dall’Uomo.

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Nonostante la stanchezza pregressa di un viaggio che dura da tre giorni (Hong Kong, Sidney, Christchurch senza avere il tempo per stendere le gambe…) e gli inevitabili lividi morali di un jet lag feroce, l’emozione di affrontare quello che sin da bambini si era letto solo sui libri e da grandi si era visto solo su Quark, compie il miracolo di farti sentire fresco e riposato come appena sveglio.

Sono le tre del mattino, il check in comincia presto, la partenza è prevista per le 05:30 locali e richiede siano espletate, oltre a quelle di un normale volo commerciale, una serie di procedure supplementari. Per cominciare il controllo bagagli, poi le attrezzature speciali. Il vestiario è rigidamente polare, pantaloni e giacca in piumino, calzari -100˚, guanti e cappelli, occhiali fattore 4… il che rende la fresca brezza di Christchurch più simile al ghibli sahariano che non al suo vero essere primaverile.

Con l’amico Pino (meteo veterano ormai al 3˚ tour antartico) scandalizziamo gli italiani presenti quando, per ingannare l’attesa, spolveriamo allegramente uova e pancetta innaffiate da succo di mirtillo e cappuccino… dopo tanti redeployment operativi, ci sentiamo molto “multinational”…

Finalmente ci si avvia al bus per l’imbarco. Il vettore per noi sarà un C17 USAF, la cui capiente pancia, degna della balena di Pinocchio, ci attende illuminata come il giorno del ringraziamento sul piazzale ancora pieno di mezzi di supporto in attività.

Siamo a bordo con un cospicuo numero di tecnici e ricercatori della NSF (National Science Foundation) e un gruppetto di Kiwi, piloti e specialisti degli elicotteri a disposizione del PNRA (Progetto Nazionale Ricerca in Antartide). Il velivolo e stracolmo di materiali e tutti i posti a sedere sono assegnati; io vinco un comodo strapuntino laterale fianco container, ma con oblò semipanoramico a disposizione.

In volo il C17 è una piacevolissima sorpresa, altro che C130… silenzioso quasi come un liner, lo strapuntino seppure in tela, assicura una circolazione sanguigna quasi normale, e comunque lo spazio è tale da poter fare volendo del footing, evitando i sacchi a pelo ripieni dell’equipaggio di ritorno che se la dorme alla grande.

Approfittando dell’aquila dorata sulla giacca a vento chiedo al crew chief di salire al primo piano per scambiare due chiacchere con i “colleghi“. Dimensioni e MTOW (peso massimo al decollo) a parte, in fondo siamo tutti della stessa famiglia… come si dice… ”jet fighter do it betterairlifter do it longer”.

Il volo prevede una durata di circa 5 ore e trenta per la tratta dalla NZ alla ice runway di McMurdo, sostanzialmente dopo il decollo, raggiunto il FL 270 si mette prua sud e via 2100 NM di volo sull’oceano più meridionale del pianeta, fino ad avvistare la terra ferma circa al traverso di Cape Hooker. Altre 300 NM per il traverso di Cape Washington da dove si scende per l’atterraggio sulla pista di ghiaccio nel Mc Murdo Sound, da dove 100 anni fa partirono, il comandante Robert Falcon Scott e quello che egli riteneva essere al sua nemesi, Roald Amundsen per l’ultima grande sfida alla natura ed all’uomo della storia moderna.

Il comandante chiede quale sia il mio velivolo, ”ecco adesso mi rimanda in stiva” penso, e invece non solo lo conosce, ma ne ha apprezzato le caratteristiche in Pakistan… Lui è Air Force, il secondo è ANG (Guardia Nazionale) e per guadagnarsi da vivere fa il comandante di B767, poi per rilassarsi passa un paio di mesi all’anno di impiego fra Afghanistan, Diego Garcia, Mac Murdo e Christchurch… dice che si diverte come un ragazzino di 13 anni…

Sono i primi piloti “antartici “che conosco, e francamente non faccio fatica né a comprenderli né ad apprezzarli, soprattutto perché durante la nostra chiacchierata è sorto il sole e lo spettacolo dal cockpit di un C17 a FL 270 che vola verso l’Antartide all’alba, credetemi vale una vita di attesa… (continua)

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(18 giugno 2013)

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