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Viaggio estremo

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Una volta i viaggiatori estremi andavano a piedi, o con locomozione animale. Al giorno d'oggi invece questo tipo di viaggiatori vuole tempi accelerati, e sempre nuove e più lontane mete, e così si usa l'aereo anche per il viaggio estremo, che spesso si tramuta nell'estremo viaggio.


Certo noi italiani abbiamo una tradizione lunga e prestigiosa da far valere nell’arte del viaggio: come non citare Marco Polo o Cristoforo Colombo. Ma anche in tempi più recenti abbiamo potuto contare su personaggi di livello non inferiore. Giovanni Battista Belzoni all’inizio dell’800 e Vittorio Bòttego, alla fine del medesimo secolo, divennero famosi per le loro esplorazioni africane. E sempre nel continente nero Pietro Savorgan di Brazzà scrisse pagine di storia indelebili.

Ai giorni nostri, possiamo citare personaggi celebri come Walter Bonatti, Ambrogio Fogar e l’arcinoto Reinhold Messner. Il profilo di questi personaggi ci ricollega direttamente all’immagine che abbiamo dei viaggi estremi: fatica, solitudine, condizioni d’estremo disagio, ai limiti della sopravvivenza e mai in compagnia di mezzi meccanici.

Come in molti altri settori dei viaggi, anche in quello dei viaggi di estrema difficoltà si è avuto l’accesso di masse sempre più numerose di viaggiatori, e anche il viaggio estremo è divenuto un fenomeno di massa, certo non aperto a tutti ma pur sempre disponibile a quantità di viaggiatori considerevoli. Questi viaggiatori non essendo “professionisti” dell’esplorazione devono in ogni caso fare i conti con tempi a disposizione limitati: il tempo tiranno obbliga a mezzi di trasporto rapidi, ed il più rapido è l’aereo. Così l’accesso ai luoghi estremamente impervi avviene anche tramite il mezzo aereo.

I cosiddetti aeroporti delle località più sperdute ovviamente sono tutt’altro che il massimo della sicurezza. L’uso di mezzi vetusti e la scarsa affidabilità dei sistemi di controllo e gestione di paesi, in genere in via di sviluppo, complicano ulteriormente la missione. Una delle mete più gettonate del turismo estremo di massa è il Nepal, patria delle vette più alte del mondo ma anche di molti luoghi sacri di diverse religioni.

Tre incredibili strisce (oggi asfaltate), accolgono i turisti che vogliano correre l’esperienza di voli “avventurosi” come eufemisticamente vengono chiamati dagli agenti di viaggio. Dagli anni ’90 in poi il traffico aereo per questi aeroporti è aumentato a dismisura favorendo anche l’investimento in strutture da parte governativa e da parte di diverse compagnie aeree private oltre che della Nepal AW, l’aumento del traffico non ha fatto aumentare i margini di sicurezza.

La porta dell’Everest è Lukla (VNLK-LUA), 2 incidenti con 18 morti negli ultimi dieci anni, forse l’aeroporto più famoso, a causa della sua pista inclinata di 12° e abbarbicata alle pendici di una montagna (il Chaurikharka), a 2800 metri d’altezza. Abbiamo quindi Jomsom (VNJS-JMO), a 2700 metri d’altezza, 2 incidenti in tre giorni lo scorso maggio con 15 morti, centro di pellegrinaggio per il Muktinath, un tempio sacro ad induisti e buddisti. Ultimo ad entrare in classifica Simikot (VNST-IMK), posto anch’esso a 2800 metri di altezza, con 2 incidenti in 5 giorni fortunatamente senza vittime, alla fine di maggio scorso. Simikot è il punto di partenza per un trekking (circa centocinquanta chilometri), verso la montagna sacra del Kailash. Chi circumnaviga la montagna riceve il dono della saggezza e purifica l'anima. E' un giro di circa 50 chilometri a 5.000 metri d'altezza, chi lo percorre addirittura in un giorno ha l’accesso diretto in paradiso (in un modo o nell'altro). La montagna è sacra per Jainisti, Hinduisti, Buddisti, Bonpo; da qui sgorgano i principali fiumi sacri, Gange, Brahmaputra, Indo.

Le tre piste aeroportuali citate hanno una lunghezza (si fa per dire), di poco più di 500 metri. Inutile sottolineare che durante la stagione dei monsoni le situazioni climatiche diventano proibitive, anche se non sono certo idilliache per il resto dell’anno. L’insieme dei fattori di rischio è di notevole portata: alte montagne nei pressi delle piste, piste corte, assistenza minima, compagnie aeree minori, aerei piccoli e per lo più anziani, tempo avverso, sono i principali.

Naturalmente esistono altre zone nel mondo dove si concentrano numerosi incidenti dovuti alle condizioni poco favorevoli ai voli in sicurezza massima. L’Alaska è famosa per le “misteriose” sparizioni di numerosi voli, come ad alto rischio risultano l’Indonesia, la Siberia e la zona insulare dei Caraibi.

Citiamo un singolare incidente capitato in Siberia per descrivere il clima in cui si svolgono i voli turistici in quelle zone. Uno degli aerei da lavoro più famosi della storia, un Antonov 2, diviene involontario protagonista di un fatto clamoroso: la notte dell’11 giugno 2012 viene portato in volo senza autorizzazione da un manipolo di persone che intendevano recarsi in una baita nella steppa per terminare in bellezza una bisboccia iniziata proprio nei fatiscenti locali dell’aeroporto. La società a cui viene preso in “prestito” l’aereo è la Orenair ed il gruppo di 12 persone decolla da una pista in erba a pochi passi dal centro di Serov, un borgo nella regione di Sverdlovsk. L’aereo scompare nella notte e viene invano cercato in lungo e largo per molti mesi. I fitti boschi siberiani restituiranno 5 mesi dopo il relitto, individuato in mezzo agli alberi a solo otto chilometri dall’aeroporto!

La situazione in Alaska non è migliore, fatta eccezione per i metodi disinvolti di affitto. Secondo il NIOSH, l’istituto nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro, il numero di incidenti nello stato circumpolare, è sproporzionato al resto del paese: dal 1990 al 2004 ci sono stati 473 incidenti riguardanti l’aviazione per i pendolari e l’aerotaxi, con 211 morti. Rispettivamente il 36% ed il 21% di tutti gli USA. Il 10% dei piloti da lavoro aereo in Alaska ha perso la vita.

(19 giugno 2013)

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