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Atterraggio al Cairo

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Le notizie che in questo scorcio d'estate arrivano dall'Egitto mi riportano ai numerosi voli per Il Cairo, il centro del Medio-Oriente. Ma perché, si sarà chiesto forse qualche lettore curioso,si dovrebbe chiamare proprio Medio Oriente?


Personalmente, solo da poco ho scoperto l’origine di questa espressione. Infatti, mi ero sempre chiesto: ma se il Giappone è Estremo Oriente, il Cairo Medio Oriente, quale sarà il Vicino Oriente? Forse il Marocco che è a Occidente rispetto a noi? Invece no. La ragione risiede nella denominazione delle armate inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Inizialmente, l’armata del Medio Oriente si trovava a Delhi, in India. Poi questa armata fu spostata al Cairo e mantenne il suo nome originario, che a quel punto però poco aveva a che fare con la geografia.

Il volo per Il Cairo, che benché sia stato tradotto al maschile significa “La conquistatrice”, è molto tranquillo, soprattutto se si parte di giorno. Più o meno tre ore e mezzo di percorrenza, volando sopra il sud Italia, poi il mare Egeo, sorvolando l’isola di Rodi, e attraversando un lungo tratto di mare si arriva sulle coste egiziane, in prossimità di Alexandria. L’arrivo in Egitto è particolarmente interessante perché si scopre quello che a scuola veniva definito il delta del Nilo. Delta viene proprio dalla forma della lettera greca che è esattamente quello che fa il fiume una volta arrivato in prossimità della foce: si dirama in mille rivoli, espandendosi come una piramide rovesciata in tanti piccoli rami dai quali a loro volta dipartono molti canali che portano l’acqua a una miriade di campi coltivati.

Mentre l’Egitto è color ocra da Nord a Sud, il delta del Nilo è di un altro colore, inframezzato da ampie schiarite di verde. L’Egitto è collegato al Nilo come la testa al collo. Il fiume che porta la vita è lunghissimo e nasce dal Lago Vittoria, ma solo con l’Egitto c’è questo rapporto viscerale. Una volta, per trasportare gli obelischi, che pesano migliaia di tonnellate usavano questo mezzo di trasporto eccezionale; praticamente, immergevano l’obelisco nel Nilo all’altezza di Aswan, che si trova migliaia di chilometri a sud del Cairo e aspettavano la piena. La potenza di questo fiume faceva il resto. Certo, qualche obelisco si incagliava, qualche altro si spezzava, ma tanti arrivavano a destinazione.

Il Cairo è una città enorme, con una periferia molto articolata, con case che si affastellano una sull’altra in un dedalo di viuzze, che dall’alto non si vedono nemmeno. Si vede benissimo la parte centrale, quella ricca, che orbita intorno al Nilo e dove sorgono tutti gli alberghi di lusso. Più a sud l’aeroporto che è molto particolare, poiché ha tre piste parallele, immerse nella sabbia del deserto.

La particolarità di queste piste è che hanno un notevole dislivello. L’ICAO, l’ente internazionale che regola l’aviazione civile mondiale, prescrive che le piste debbano essere costruite secondo dei parametri. Uno di questi è il dislivello massimo del 3%. Detto così, sembra un dato statistico come tanti altri. Se uno ci pensa bene, invece, significa che per ogni 100 metri di pista, il dislivello tra l’inizio e la fine è di tre metri. Le piste del Cairo però sono di quasi quattro chilometri. Ciò significa che l’inizio della pista e la sua fine hanno una differenza altimetrica di circa 120 metri. Che non è poco.

Ad ogni modo, il controllo del radar del Cairo è abbastanza efficiente e guida l’aereo per effettuare un giro panoramico intorno alle piramidi a bassa quota che immancabilmente faccio notare ai passeggeri che dicono “oohhh”. La pubblicità è l’anima del commercio e per chi non vola spesso questa informazione aggiunge un tocco di originalità alla propria esperienza di volo. Se poi aggiungiamo che se voli sul deserto nuvole non ce ne sono e la visibilità è generalmente buona, volare qui è come trovarsi in una cartolina con vista dall’alto.

Arrivati in dirittura finale per l’atterraggio, ci si accorge che poco prima della pista 05L (quella di sinistra) si apre un altro aeroporto militare. La sensazione, come in tanti Paesi arabi, è che gli aeroporti militari siano un po' in disarmo, quasi abbandonati a se stessi e con molti relitti sparsi nel sedime aeroportuale. E pensare che l’ex capo dello Stato, Mubarak, era un generale dell’aviazione.

Man mano che ci si avvicina alla pista di atterraggio si vedono molti più dettagli, come le case intorno all’aeroporto, che si trovano ad una distanza tale da non permettere di guardare in pace la TV, per le vibrazioni di chi decolla e il rumore di chi atterra. Intorno alla striscia di cemento si estende una distesa di sabbia che quando c’è vento comincia a turbinare a bassa quota. Gli aerei soffrono molto questo fenomeno, perché il motore si alimenta ad aria e carburante, ma non a sabbia.

Liberata la pista dopo l’atterraggio ci si trova in una via di rullaggio con le medesime caratteristiche. Una delle difficoltà è che le indicazioni sono poche, i cartelli sporadici, e le istruzioni via radio spesso ci vorrebbe un medium per decifrarle. Tuttavia, quando uno è allenato a questi aeroporti sa già che chiedono “people on board” e “registration mark”, cioè quanti siete e come vi chiamate... l ché un italiano si aspetterebbe anche di sentirsi dire: “Uno fiorino!”

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(21 agosto 2013)

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