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Le camere ipobariche - I

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Per simulare gli effetti dell’altitudine sulle prestazioni umane è stata ideato uno strumento chiamato “camera ipobarica” (ipo = bassa, baro = pressione). La struttura è costituita da due corpi concentrici che sono temporaneamente isolati uno dall’altro, ma tra i quali si possa trasferire la pressione.


La manipolazione avviene dall'esterno, ed è possibile intervenire sulla pressione fino a portarla a valori predeterminati. Per motivi di sicurezza, all'interno sono presenti anche delle maschere d’ossigeno per evitare che vi sia qualche danno cerebrale ai membri presenti nella camera.

La camera ipobarica serve a stimolare l’addestramento sugli effetti dell’altitudine e della bassa pressione sulle prestazioni umane, specialmente per testare le condizioni di ipossia. In che modo si effettuano queste prove? Inizialmente, uno o più membri di equipaggio sono messi dentro la camera ipobarica. Prima di cominciare a simulare l’aumento di quota gli occupanti vengono invitati ad indossare la maschera ad ossigeno che eroga ossigeno puro, in modo da purificare il sangue da eventuali presenze di azoto ed evitare così la sindrome da decompressione.

Con la maschera ancora indossata, la pressione atmosferica viene ridotta per simulare le condizioni a quote di decine di migliaia di piedi (generalmente, dagli otto ai dodicimila metri). A questo punto si rimuove la maschera per sperimentare gli effetti dell’ipossia. In questo momento, almeno un membro presente all’interno della camera deve respirare tramite maschera ad ossigeno, in modo da essere lucido per poter intervenire in caso succeda qualcosa a qualcuno dei presenti. Gli osservatori esterni monitorano da fuori attraverso delle telecamere e dei portelli da cui vedere l’interno.

Mentre gli occupanti sono senza maschera, si chiede loro di effettuare delle prove banali, come apporre la propria firma, fare calcoli semplici. Quando questi esercizi richiedono un tempo eccessivo per essere portati a termine si è arrivati al limite del “time of useful consciousness”, cioè il tempo in cui si è ancora vigili. Lo scopo principale dell’addestramento dentro la camera ipobarica è quello di rendere consapevoli i piloti dei propri sintomi di ipossia, dato che ognuno reagisce in modo differente.

Ma l’addestramento in camera ipobarica è utilizzato anche per simulare una discesa di emergenza, portando rapidamente la pressione da 8000 a 22000 piedi per simulare la perdita di una porta dell’aereo. Per i piloti militari invece, viene simulata una quota da 25000 a 43000 piedi, per simulare la perdita del tettuccio dell’aereo da caccia. La pressione viene poi fatta rapidamente aumentare per riprodurre le condizioni di una discesa di emergenza

È interessante notare, come già accennato, che a parità di stimoli le reazioni sono spesso diverse. Non tutti sanno poi che vi sono degli effetti anche sul volume della voce. Infatti, quando facciamo vibrare le corde vocali per parlare normalmente, non facciamo altro che spostare onde d’aria davanti a noi, arrivando così sino al ricevente. Quando l’aria è molto rarefatta, non si comprime come ci aspettiamo per trasmettere le nostre onde vocali, quindi avremo una diminuzione sensibile del volume della nostra voce.

Per quello che riguarda infine l’effetto sulle orecchie, mentre durante la fase di depressurizzazione la differenza non è molto sentita, si hanno viceversa i massimi rischi di subire un barotrauma nel momento in cui si ripressurizza, per esempio per simulare la rapida perdita di quota tipica delle manovre di discesa di emergenza.

Curiosamente, le camere ipobariche sono utilizzate anche dagli atleti che vogliono prepararsi per attività aerobiche, poiché dove c’è bassa pressione atmosferica e aria rarefatta l'organismo si adatta producendo più globuli rossi, che sono il veicolo dell'ossigeno. Quando si scende a livello del mare quindi c’è maggiore ossigenazione, migliorando le prestazioni.

C’è un dibattito aperto, in materia, per decidere se tale pratica può essere considerata doping. (continua)

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(19 settembre 2013)

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