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Alitalia, perché farla fallire

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Era intitolato così (senza punto interrogativo), un articolo della rivista Volare del novembre 2006 (n° 275), ben sette anni fa. In quell’articolo si proponevano le ricette di ben cinque economisti per sanare una situazione insostenibile. Si raccontava che l’azienda perdeva un milione di euro al giorno e che più volava più perdeva.


Nell’editoriale dal titolo “Ah! L’Italia”, Francesco Giaculli evidenziava il declino del sistema Italia. E notava che le motivazioni erano chiare a tutti, ma incerta era invece la strada da intraprendere per la salvezza. Sette anni, e molte drammatiche vicende, sono passati inutilmente. Siamo allo stesso punto, anzi peggio.

Oltre diecimila ex dipendenti mantenuti a spese dello stato e distrutti professionalmente, più di tre miliardi di euro di debiti accollati al già sufficientemente tartassato contribuente italiano, metà delle infrastrutture tecniche d’avanguardia, costruite nel corso dei decenni, abbandonate e in corso di liquidazione. E poi la disintegrazione di un tessuto produttivo, strategico ed avanzato, che se non fosse esistito si sarebbe dovuto procedere ad inventare: un patrimonio materiale e di conoscenze indispensabile per sostenere quello che il Governo di turno oggi definisce “Destinazione Italia”.

Già, "Destinazione Italia"... leggendo il programma di rilancio del “made in Italy” nel mondo non c’è traccia dell’importanza di un vettore aereo che sostenga e aiuti nello sviluppo del sistema. Come si fa ad essere così ciechi? Eppure non c’è studio al mondo che non sostenga che il trasporto aereo sia trainante per lo sviluppo economico.

Parliamo di uno dei più importanti paesi del mondo, di sicuro uno dei primi venti, ma secondo le statistiche il 5° turistico ed il 6° industrializzato, il principale dal punto di vista culturale ed uno dei primi per la religione, con una diffusione globale dei suoi oriundi ed al centro di uno scacchiere strategico come il Mediterraneo. Senza una compagnia aerea. Perché?

La storia ci consegna una sequela di ruberie accompagnate da incompetenza criminale. Cito solo che durante il giubileo della cristianità del 2000, il centro operativo dei voli lungo raggio fu spostato da Roma a Malpensa. Ancora ridono le compagnie (soprattutto americane) concorrenti che fecero affari grazie a tale decisione, per giunta seguita dall’idea di far fallire l’unione con KLM basata proprio sullo spostamento a Milano.

Ancora oggi con l’operazione dei cosiddetti “capitani coraggiosi” si è proceduto sui medesimi binari. Invece di occuparsi di fare trasporto aereo ci si è occupati di salvare le operazioni varate dalla compagnia privata Air One, ci si è occupati di come far fruttare gli “investimenti” dei capitani di ventura, ma nessuno si è occupato di fare quel poco che serviva, soprattutto focalizzarsi sul lungo raggio e fondare la base d’armamento su transiti efficienti per il maggior numero di destinazioni possibili. E, guarda caso, l’Alitalia è fallita ancora.

Regalare ad Air France-KLM non risolverà la questione, forse si salverà qualcosa della ex compagnia di bandiera, ma non si salverà il patrimonio strategico costituito da una compagnia aerea che basi i suoi interessi sullo sviluppo della “Destinazione Italia”. E’ una scelta che compete solo agli italiani ed ai capitali italiani, non si può chiedere ad altri di interessarsi della competitività della nostra nazione, non credo che ci sia una sola forza economica al mondo a cui farebbe comodo lo sviluppo dell’Italia.

Eppure risorse enormi (almeno a parole), vengono messe in campo. Si parla di piste aggiuntive per molti aeroporti, che è risaputo non servono a nulla se non a giustificare spese faraoniche atte solo ad arricchire i soliti noti. Nessuno parla dei pochi  e forse semplici interventi da fare, nessuno rileva che con le risorse per costruire una nuova pista si salvano tre Alitalia.

Le cose mai fatte sono realizzabili già oggi con quello che c’è, aumentare la capacità di ricezione degli aeroporti è un intervento che riguarda in primis le procedure del controllo del traffico aereo, basta paragonare il traffico che gestisce l’aeroporto di Londra Gatwick, con una pista sola, con quello di Fiumicino che di piste ne ha tre. Poi, sui due principali scali occorre curare i collegamenti di superficie e soprattutto la velocità ed efficienza dei transiti, chiave del successo con gli aeroporti concorrenti (per es. Zurigo opera transiti intercontinentali a 55 minuti mentre a Malpensa ce ne vogliono quasi 120). Occorre disegnare una rete da città a città basata su collegamenti diretti, praticamente giornalieri e riguardanti le principali 50 destinazioni turistiche e d’affari.

Qui naturalmente occorre investire, soprattutto in personale qualificato (gli aerei si possono affittare, e oggi i vettori che il mercato mette a disposizione consentono addirittura di operare voli diretti Roma-Sydney). Anche il personale ci sarebbe, sebbene, dopo la lunga mobilità, sufficientemente arrugginito, in compenso i costi del lavoro italici sono bassi e quindi consentirebbero un’organizzazione del lavoro produttiva, di sicura efficienza.

Siamo certi che queste righe sono l’ennesimo latrato alla luna del tutto inutile, ma da ex dipendenti di una delle migliori espressioni dell’Italia produttiva non ci riusciamo a restare in silenzio di fronte a quest’ennesima rapina al patrimonio della Nazione.

(10 ottobre 2013)

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