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Il cockpit in preghiera

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Il comandante non è molto loquace, un po’ perché è così, un po’ perché con l’inglese ci mastica poco, e allora me ne sto zitto anch’io. Livelliamo dopo una mezz’ora di volo alla quota di crociera: le performance degli Airbus non sono eccezionali, l’aereo sale così lentamente che a volte vien voglia di scendere e spingere.


Puntualmente, come di consueto, viene servita la colazione: un vassoio pieno di ogni ben di Dio... e infatti è proprio di Lui che stiamo per parlare. Cornetti, pane abbrustolito, tre differenti barattolini di marmellata, miele, un muffin, yogurt, succo di frutta e un tazzone di latte con i corn flakes.

Contento come una Pasqua, che in realtà da queste parti non si festeggia, mi butto a quattro ganasce sul tavolino che ho di fronte e bisogna riconoscere agli ingegneri dell’Airbus che mettere un tavolino nel cockpit è stata una idea veramente geniale.

Mentre affondo i denti sul primo panino, con un guizzo di marmellata che cerca di attentare alla mia camicia immacolata, scorgo dal finestrino una tenue luce proveniente da est, niente di mistico tranquilli, è il sole che finalmente si rifà vivo su questo sterminato Oceano Indiano che stiamo sorvolando.

Al che, anche per rompere un po’ il silenzio che impera dalla retrazione del carrello, azzardo un: "Well, the sun is coming!", e mi ributto faccia al vassoio senza curarmi di una eventuale risposta in inglese che tanto non avrei capito. Invece, come ritemprato da una doccia fredda, il barbuto comandante dallo sguardo austero gonfia il petto e fa: "It’s time for praying!" e si alza dal suo posto lasciandomi solo a tagliare a metà il cornetto che era in attesa della farcitura.

Non ho ben chiaro cosa sta per accadere, anche perché con la fame che ho dopo la sosta in India, può pure spegnersi un motore, ma finirei comunque la mia colazione prima di eseguire la check list. Con la coda dell’occhio scruto il mio compagno di viaggio nelle sue misteriose manovre, in quello spazio angusto che c’è tra i sedili e la porta di accesso al cockpit, e vedo che tira fuori un tappeto colorato da uno scomparto di cui ignoravo l’esistenza. Nel mio stupore, sbaglio mira e mi impatacco i pantaloni con una cucchiaiata di yogurt destinata alla bocca.

Vedo che stende il tappetino al suolo e inizia una sorta di canto che arricchisce l’atmosfera dell’alba di un misticismo che mi ricordava i tempi in cui, da ragazzino, frequentavo i boy scout in parrocchia. Immaginate il mio imbarazzo: il Ramadan è appena iniziato, quindi col sorgere del sole non si mangia più fino al tramonto e io mi ritrovo nel bel mezzo dell’Oceano Indiano ad affrontare i miei corn flakes affogati in una tazza di latte, col comandante dietro alle mie spalle che in ginocchio prega il suo Dio.

Ho visto pregare in chiesa e in casa, ho visto pregare anche nei boschi e sulle spiagge, ma dentro al cockpit di un aeroplano... mai!!! E per di più mentre è in volo. Non sapevo se smettere di mangiare o sbrigarmi a finire... per la cronaca, ho optato per la seconda.

Tutto sommato però è bello sapere che in questo mondo così dedito al consumismo sfrenato c’è ancora chi pensa a santificare la propria anima credendo fermamente in entità superiori che da qualche parte dovranno pure essere. Il mondo è pieno di religioni diverse e ognuna pretende di avere la verità certa sulla esistenza del proprio Dio.

Non pensiate che ora io vi dia la risposta a questo quesito. Per quanto mondo abbia visto e per quanto tempo abbia passato in cielo non ho ancora avuto alcuna illuminazione in proposito, altrimenti passerei il tempo in mezzo alla gente, a indicare la via come un novello profeta.

Mentre il mio comandante continua a pregare, penso che il volo fino a Doha sarà ancora lungo e che per gli effetti della legge di Murphy può succedere di tutto, quindi un aiuto dall’alto può sempre essere utile, e se il comandante ha degli amici potenti lassù che lo aiutano, beh... di riflesso aiuteranno anche me.

Male non fa, e una benedizione speciale può sempre far comodo quando sei per aria e la tua vita dipende solo da quei due frullini sotto le ali che ti spingono a mille chilometri orari e a dieci chilometri di altezza.

(23 ottobre 2013)

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