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La riattaccata

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A volte, ci sono persone che raccontano con terrore di quella volta che l'aereo sul quale erano seduti ha dovuto riprendere quota proprio quando, durante un atterraggio, si trovava ormai praticamente sulla pista. Ebbene, quelle persone dovrebbero essere contente di ciò che è accaduto.


Infatti, l'atterraggio è una fase complessa, che arriva al termine di una procedura di avvicinamento in cui l'aereo deve cambiare la configurazione, estendere il carrello di atterraggio, rallentare, portarsi su un sentiero ideale che non sia troppo piatto né troppo ripido, con velocità adeguata a toccare la pista, riuscendosi a fermare prima della sua fine.

Un atterraggio decente deve aver avuto una fase di preparazione idonea ad ottenere tutti i parametri corretti. Viceversa, se ci troviamo su un aereo che non abbia la velocità abbastanza bassa, che si trovi senza la configurazione prevista, o con il carrello non abbassato, oppure che debba effettuare delle manovre molto accentuate in prossimità del terreno è chiaro che avremmo di che preoccuparci.

Quindi, il pilota che riattacca si rende conto che qualcosa non va come dovrebbe e decide di interrompere l'avvicinamento, riportarsi in dirittura finale e fare le cose con calma e per bene. È un atteggiamento più che giusto, che veniva una volta biasimato, come a dire che il pilota che riattacca è scarso dal punto di vista del pilotaggio.

Oggi invece viene addirittura incentivato come sintomo di intelligenza e di prudenza oltre che di umiltà perché, come dicono gli americani: “E' più facile per te spiegare il motivo per cui hai riattaccato, che per un investigatore aeronautico capire perché tu non l'abbia fatto”.

Non sono stati pochi gli incidenti in cui l'aereo è arrivato con velocità troppo elevata ed è finito fuori pista, oppure aerei che avevano una quota eccessiva e in cui il pilota ha deciso di adottare un profilo molto ripido che ha portato ad uno schianto con la pista per l'eccessiva velocità di discesa.

Che dire poi dell’aereo che è atterrato negli Stati Uniti senza carrello, dopo che per circa due minuti precedenti l'atterraggio tutti i sistemi di allarme avevano indicato all'equipaggio che la velocità era eccessiva, la discesa troppo ripida, il carrello di atterraggio ancora retratto e soprattutto con una voce insistente annunciava “Pull up”, cioè “Risali”? Sembra impossibile, eppure studiando gli incidenti aerei ci si accorge che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

Come altro definire la situazione che, molti anni fa, a New York, ha coinvolto un DC-8 che si spezzò letteralmente in pista a seguito di un atterraggio non proprio morbido per il fatto che il Comandante, fedele al motto del suo reparto di volo militare che imponeva di non riattaccare mai, estrasse gli invertitori di spinta quando l'aereo era ancora in volo?

Sono tutti esempi che dovrebbero allertare il giovane pilota a non sopravvalutarsi e adottare una tattica di massima prudenza quando si rende conto che non è possibile mantenere i livelli di sicurezza adeguati.

Anche a me è capitato di riattaccare durante la mia carriera, ma fortunatamente sono episodi molto rari. Una volta perché si era aperta una voragine in pista a Venezia durante un forte temporale. Un'altra volta, perché l'aereo che ci precedeva non è riuscito a liberare la pista a Londra Heathrow, mentre noi eravamo praticamente arrivati con le ruote in prossimità del terreno. Oppure, durante un avvicinamento a Cagliari, per via del vento che aveva rinforzato così tanto da indurre fenomeni di windshear, cioè delle rasoiate di vento talmente forti da destabilizzare l'aereo.

A Roma Fiumicino, il controllore di volo ci istruì una volta a mantenere una quota. Poi perse il controllo della situazione e si dimenticò di noi, complice anche una frequenza così congestionata da non riuscire a parlare. Alla fine, si accorse che eravamo ancora ad una quota troppo alta per portare a termine l'avvicinamento e così ci ordinò di riattaccare per poterci riposizionare in modo decente. Si scusò per l'inconveniente, ma sono cose che possono capitare in aeroporti molto trafficati.

L'importante è che i margini di sicurezza rimangano sempre alti. Piuttosto, è bene che il Comandante faccia un bell'annuncio ai passeggeri per tranquillizzarli, poiché questi hanno legittimamente paura e sono tesi. Una semplice comunicazione, volta a spiegare per sommi capi qual è il problema, cosa si intende fare, ed eventualmente accennare anche ad un eventuale dirottamento all'aeroporto alternato.

Sebbene la riattaccata sia una manovra non usuale, tanto da considerarsi “rara routine”, tuttavia il pilota stesso si trova a dover riconfigurare l'aereo, retrarre i flap e il carrello di atterraggio, cambiare velocità, prua, altitudine, effettuare una serie di chiamate al controllo del traffico aereo, coordinarsi con l'altro pilota, decidere cosa fare nei prossimi due minuti. Insomma, in un lasso di tempo ristretto il carico di lavoro aumenta di molto e in questi frangenti l'annuncio ai passeggeri viene visto un po' come una incombenza che può essere ritardata.

E così magari capita che, con il poco tempo che c'è fino al successivo atterraggio, l'annuncio salti. Esattamente ome i nervi dei passeggeri.

antonio.chialastri(at)manualedivolo.it

(14 dicembre 2013)

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