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If you think safety is expensive...

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Benché la sua paternità non sia mai stata rivendicata da nessuno, in aviazione (e in generale in tutti gli ambienti di lavoro ad alto rischio) l'espressione “if you think safety is expensive, try an accident” gode di una popolarità almeno pari a quella della ben più famosa legge di Murphy.


Se pensi che la sicurezza costi cara, prova con un incidente... e Malaysia Airlines di incidenti, in pochi mesi, ne ha avuti ben due: la scomparsa di MH-370 e l'abbattimento di MH-17.

E si badi bene che, mentre niente ancora si sa della sparizione del volo MH-370, nel caso dell'aereo abbattuto sull'Ucraina le vicende economiche della compagnia possono avere avuto un peso nella decisione di continuare a pianificare (per evitare ulteriori spese extra) il sorvolo di una zona che molte altre compagnie già da diverso tempo evitavano. In ogni caso, le ricadute economiche di questa doppia tragedia, che in totale ha reclamato uno costo, in termini di vite umane, di oltre cinquecento vittime non hanno tardato a farsi sentire.

Al di là dell'evidente danno provocato dalla perdita di un aeromobile, comunque in parte coperto dalle assicurazioni, un incidente ha sempre un primo impatto economico dovuto alle spese che la compagnia deve sostenere per fornire ai familiari delle vittime informazioni e assistenza. Basti pensare, a questo proposito, ai servizi ampiamente diffusi dai media di tutto il mondo, che hanno portato nelle nostre case le immagini dei parenti dei passeggeri del volo scomparso ospitate in vari alberghi della Cina e della Malesia.

La maggior parte delle compagnie di livello mondiale organizza e mantiene in efficienza una sorta di unità di crisi, un sistema di prima risposta capace di fornire questo genere di assistenza, che prevede l'intervento di team di comunicazione, unità logistiche ed equipe mediche in grado di fornire supporto informativo, operativo e psicologico. Ovviamente, una cosa è costituire e tenere in piedi questa unità di crisi, altra cosa è sostenere le spese di un suo intervento, e infatti il bilancio del secondo trimestre 2014 (quello immediatamente seguente la sparizione del B-777) di Malaysia Airlines evidenzia un aumento della spesa pari al 2%.

Tuttavia, l'impatto globale di un caso come quello di MH-370 va logicamente ben al di là delle semplici spese di, definiamolo così, primo intervento, a partire ovviamente dal pesante danno di immagine per la compagnia. E infatti, sempre dal bilancio del secondo trimestre, è possibile rilevare  un calo di ben 7 punti nel fattore di riempimento, che scende al 74%, per una diminuzione totale di ricavi di quasi il 10%.

Tutto questo ha fatto sì che le perdite della compagnia, sempre nel secondo trimestre, si siano impennate fino a raggiungere la non trascurabile cifra di 75 milioni di euro (cifra calcolata prima delle tasse). Al raggiungimento di questa cifra ha contribuito anche la diminuzione del cosiddetto passenger yeld, ovverosia la tariffa media che ogni passeggero paga per ogni miglio volato, ma quella di cercare in ogni modo di attirare nuovi clienti, magari offrendo tariffe agevolate, è una tattica quasi obbligata per fronteggiare in qualche modo la fuga di passeggeri.

E' facile immaginare quale possa essere stato, in un contesto del genere, l'impatto dell'abbattimento del volo MH-17 nei cieli dell'Ucraina il 17 luglio scorso: tanto per cominciare, la compagnia ha annunciato un calo delle prenotazioni pari al 33% nelle settimane immediatamente seguenti l'evento. Sempre secondo fonti della compagnia, a metà settembre il “buco” causato dall'effetto combinato dei due incidenti era stimato ben oltre i 100 milioni di euro, ponendo di fatto Malaysia Airlines di fronte alla prospettiva del fallimento.

A fronte di tutto questo, è stato varato un piano di ristrutturazione in 12 punti, che prevede tra le altre cose una robusta iniezione di denaro pubblico. Lo stato malese infatti, che già deteneva il 67% del capitale azionario tramite il fondo Khazanah Nasional, ha annunciato l'intenzione di comperare le restanti quote in mano ai privati, e di ritirare dalla Borsa la compagnia per un periodo di tre anni: in pratica, una sorta di nazionalizzazione “a tempo”.

Basterà tutto questo a rimettere in pista la compagnia malese, che tra l'altro già navigava in acque economicamente poco tranquille anche prima del doppio incidente? Lo sperano, in primo luogo, gli oltre 20.000 dipendenti.

(22 settembre 2014)

 

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