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QZ 8501: prime riflessioni

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Con il recupero, avvenuto poche ore fa, della sezione di coda dell'A-320 indonesiano precipitato 13 giorni fa nel mare di Java, mentre era in rotta da Surabaya a Singapore si fa più viva la speranza di conoscere in tempi rapidi cosa sia realmente avvenuto a bordo la mattina del 28 dicembre scorso.


È infatti nella sezione di coda che sono alloggiati i registratori di volo, e anche nella sfortunata ipotesi in cui i tecnici impegnati nel recupero non dovessero trovarle nel moncone di fusoliera riportato a galla, è chiaro che la zona dove esse dovrebbero essere ulteriormente cercate risulterebbe abbastanza ristretta. Nel frattempo fonti diverse di organismi diversi, ma pur sempre impegnati nelle ricerche, hanno prima annunciato, poi smentito, e indine ribadito l'intercettazione di segnali (gli ormai famosi ping) provenienti con buona probabilità dai trasmettitori ULB associati appunto alle scatole nere.

Nell'attesa di avere informazioni più precise, e a partire dalle poche notizie certe che si hanno, cerchiamo intanto di fare un minimo di chiarezza sulle analogie (invero poche) e le differenze tra questo caso e quello del volo MH-370 al quale i media generalisti hanno fin dai primi minuti accomunato la vicenda del QZ 8501.

Prima analogia: la brusca scomparsa dei due aerei dagli schermi radar subito dopo aver compiuto una manovra di deviazione dalla rotta. L'analogia si ferma qui, perché mentre nel caso del B-777 la ragione della manovra ci rimane sconosciuta, nel caso dell'A-320 la deviazione a sinistra e la salita sono state dettate (le comunicazioni radio parlano chiaro) dalla necessità di evitare una zona di maltempo.

Ci si può invece interrogare sul perché di una richiesta di deviazione e cambiamento di quota (da FL 320 a FL380) così ampie. Infatti, se è vero che in quella parte del mondo le formazioni di cumulonembi (uno dei fenomeni meteo più pericolosi per il volo) sono particolarmente violente e improvvise, è anche vero che le manovre effettuate per evitarle vengono di solito pianificate con molto anticipo, e la tendenza generale dei piloti è quella di passare bene al largo dalle zone “rosse”.

Vengono definite “rosse” perché questo è il colore con il quale i nuclei più densi di precipitazione vengono rappresentati sul radar di bordo, e i piloti sanno bene che, nonostante l'automazione crescente, individuare per tempo e seguire nel suo sviluppo certi cumulinembi è spesso un'operazione di pazienza certosina e di infinite regolazioni sulla portata, l'inclinazione dell'antenna e la sensibilità del radar. Da questo punto di vista è lecito ipotizzare una iniziale sottovalutazione del fenomeno da parte dei piloti dell'aereo indonesiano.

Così come è lecito pensare ad un tentativo limitare al minimo la deviazione dalla rotta, anche perché le deviazioni, in termini di carburante, sono costose, e richiedono la presenza a bordo di carburante extra. E di carburante extra (che i responsabili delle compagnie vedono come il fumo negli occhi) il volo QZ 8501 non doveva averne molto: 8.300 chili (come dichiarato dal Ministero dei Trasporti indonesiano) non sono poi molti per un volo di quasi due ore e mezzo.

Lo scenario appare dunque compatibile con la necessità di una deviazione più ampia del previsto, decisa all'ultimo momento, che non ha avuto successo, facendo piombare l'A-320 nel bel mezzo di un nucleo temporalesco particolarmente attivo.

Seconda analogia: l'assenza di chiamate di emergenza da parte dei piloti. Nel caso di MH 370 le ragioni ci sono ignote, in quello di QZ 8501 possiamo ipotizzare che i piloti, incappati in una situazione di turbolenza severa e forti precipitazioni (magari accompagnate da colpi di fulmine) abbiano perso il controllo dell'aereo, e un pilota che cerca di riprendere il controllo del proprio mezzo di tutto si occupa, eccetto che di perdere tempo a chiamare chi, in ogni caso, non potrà certo essergli di aiuto immediato in quel frangente.

Terza analogia: la perdita dei segnali del transponder. Per il B-777 malese le ipotesi (dall'atto deliberato all'avaria catastrofica) si sprecano, per l'A-320 indonesiano, dato il contesto, è molto più facile ipotizzare un colpo di fulmine. I fulmini non sono pericolosi per la struttura portante dell'aereo e per i suoi occupanti (che sono protetti dall'effetto “gabbia di Faraday”), ma una delle loro conseguenze più comuni è quella di “accecare” (momentaneamente o definitivamente) le ricetrasmittenti, le cui antenne si trovano all'esterno della fusoliera... e il transponder di fatto è una ricetrasmittente di segnali radio.

Quarta analogia: la mancanza di segnali da parte dei localizzatori di emergenza ELT. E questa è davvero una analogia, ma priva di significato, perché quando un aereo finisce in mare, si spezza e affonda rapidamente, è normale che i segnali degli ELT non vengano ricevuti. Per quanto cinico possa sembrare, sono infatti concepiti solo per assicurare il ritrovamento di un relitto a scopo di salvataggio, come ha ben spiegato nelle nostre pagine Jean Paul Nanut, e i loro segnali non sono fatti (e non servirebbero) per essere ricevuti dal fondo del mare.

Come si vede dunque, e l'affermazione è avvalorata dal fatto che già due giorni dopo l'incidente e nonostante le condizioni proibitive del mare siano stati localizzati i primi relitti, le analogie con la scomparsa del fin qui non ritrovato volo MH 370 sono davvero poche, se si esclude il fatto che ambedue (presumibilmente, nel caso del B-777 malese scomparso il 7 marzo scorso) siano finiti in mare, e che i nostri media continuino a definire”malese” l'A-320 indonesiano precipitato il 28 dicembre.

Il che, sia detto per inciso, è un po' come definire “arabi” gli aerei dell'Alitalia: si da infatti il caso che la compagnia malese AirAsia detenga il 49% del capitale della compagnia indonesiana Indonesia AirAsia... esattamente come gli arabi di Etihad possiedono il 49% di Alitalia.

(10 gennaio 2015)

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