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Aiuto, non ci sono più piloti - I

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I - Sono oltre 20.000 i comandanti delle grandi compagnie aeree USA che andranno in pensione nei prossimi sette anni, e la maggior parte di loro sarà rimpiazzata da piloti provenienti da quella sorta di apprendistato professionale rappresentato dalle compagnie regionali.


Erano anni, anche a causa dei cambiamenti imposti dalla FAA alle regole per andare in pensione, che non si registrava un turn-over così intenso. I piloti regionali avranno così, dopo un lungo periodo di lavoro in condizioni disagiate, con orari pesanti e salari bassi, la possibilità di passare alle grandi compagnie. Parallelamente aumenteranno gli sbocchi professionali per i neo-brevettati delle scuole di volo e dei college di aviazione. Sembrerebbe dunque che sia sul punto di iniziare, per i piloti a stelle e strisce, un periodo di vacche grasse.

Eppure, nonostante questo scenario appaia molto promettente, c'è un grosso problema: sono sempre meno i giovani che, nonostante la promessa di posti di lavoro facilmente reperibili, sembrano disposti ad intraprendere la carriera di pilota. E la crisi sta già colpendo le compagnie aeree regionali, che vedono un numero sempre crescente di piloti migrare verso i principali vettori e non sono in grado di coprire i posti che si vengono a liberare.

In alcuni casi, le compagnie regionali hanno dovuto mettere a terra i loro aerei per mancanza di piloti, e questo fatto ha ovviamente delle ricadute che vanno al di là del puro e semplice mondo aeronautico: in alcune città secondarie degli Stati Uniti le conseguenze della carenza di piloti sono infatti tali da determinare la drastica riduzione (quando non addirittura la totale sospensione) dei collegamenti aerei con i grandi hub.

Fino a qualche decennio fa la maggior parte dei piloti di linea americani (come del resto anche quelli di molti altri paesi del mondo) proveniva dalle scuole di formazione militare, ma il continuo aumento della richiesta e la graduale diminuzione dei pensionati o dei congedati dell'aviazione militare ha portato allo sviluppo di scuole civili, che sul finire del millennio scorso hanno avuto un boom di iscrizioni.

La spesa da prevedere per una laurea quadriennale in un college di aviazione come la Embry-Riddle Aeronautical University e la University of North Dakota (tanto per citare due scuole tra le più apprezzate sia dagli allievi piloti che dai reclutatori delle varie compagnie) ammonta a circa 50.000 dollari all'anno, comprensiva di iscrizione, mantenimento e, soprattutto, ore di addestramento in volo.

Ebbene, tanto la UND che la Embry-Riddle, così come numerose altre scuole, hanno in questi ultimi anni registrato un preoccupante calo di iscrizioni. Sono in particolare le iscrizioni di aspiranti piloti americani a diminuire, mentre rimane alto l'afflusso di studenti stranieri, in particolare quelli provenienti dai paesi dell'Asia o del Pacifico, dove il settore del trasporto aereo è in pieno boom.

Per loro la prospettiva è quella di passare direttamente ai comandi, sia pure come copiloti, di un jet di linea avendo all'attivo poche centinaia di ore di volo, contro le 1000 richieste negli USA ai piloti che escono da un college. I quali per giunta si ritrovano a pilotare per anni un ben più modesto turboelica che, benché porti spesso la livrea di un grande vettore, è in realtà operato da una piccola compagnia regionale.

Gli allievi piloti che vengono dall'estero spendono dunque meno ed hanno la concreta possibilità di percepire fin da subito remunerazioni che, benché più basse di quelle dei loro colleghi americani o europei, sono pur sempre estremamente interessanti se confrontate a quelle dei resto della popolazione dei rispettivi paesi.

Un ulteriore valido incentivo ad affrontare le spese di formazione è per loro costituito dalla prospettiva del rapido raggiungimento di uno status sociale che per i piloti statunitensi (ed europei) ormai è solo un lontano ricordo. (continua)

(21 giugno 2015)

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