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L'uovo di Rizzi

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Tutti sanno che gli italiani hanno tanti difetti, ma anche alcuni notevoli pregi. Tra questi, l’inventiva, la creatività, la capacità di risolvere problemi (che spesso ci creiamo da soli). Noi siamo un piccolo paese, che sulla carta geografica equivale a una briciola, come ebbi modo di scoprire, con molta delusione, quando andavo alle elementari.


Quando vidi per la prima volta un mappamondo, immaginavo di vivere in quel Paese che sta tra il Messico e il Canada. Poi mio padre mi disse l’Italia era quella cosetta a forma di stivale, che confinava con la Francia e la Spagna (sì, mio padre non aveva studiato e ogni volta che gli chiedevo dove fossero i Pirenei, mi rispondeva di chiedere a mia madre, perché era lei che metteva a posto le cose in casa).

Noi italiani siamo anche piccoli dal punto di vista demografico poiché, se consideriamo un valore di sessanta milioni a fronte di sette miliardi e due dell’ultimo censimento planetario, rappresentiamo meno dello 0,8% della popolazione mondiale. Eppure godiamo all’interno dei nostri confini dell’80% del patrimonio artistico dell’umanità, con un’evidente sproporzione tra quanto spetterebbe ad ogni essere umano e quanto invece ci è andato in sorte per il solo fatto di essere nati in questo manicomio chiamato Italia.

Però siamo anche coloro che hanno inventato la fuga dei cervelli, se solo pensiamo a quanti nostri illustri connazionali sono morti all’estero, dopo essere stati esiliati o costretti ad emigrare. Basti pensare a Dante, che morì a Ravenna, cioè lontano dalla sua patria Firenze, a Leonardo- morto ad Amboise- o a Cristoforo Colombo che per fare fortuna dovette chiedere aiuto ai reali spagnoli. Ne potrei citare moltissimi altri, ma questi già bastano a far capire che abbiamo una innata allergia al talento e che spontaneamente creiamo bellezza e volontariamente la vogliamo distruggere.

Proprio l’altro ieri ho ricevuto la telefonata di un collega molto in gamba, che mi ha raccontato di un suo progetto rendendomi orgoglioso sia di conoscerlo sia di essere italiano. Avevo conosciuto Gaetano Rizzi, un comandante di A-320, non più di un mese fa in occasione della presentazione del mio ultimo libro sullo Human Factor in Parlamento: una cornice fantastica, che per un conferenziere è il massimo cui si può aspirare; un po’ come per un calciatore giocare all’Olimpico.

Lui era in platea e alla fine è venuto a congratularsi e a propormi qualche collaborazione. Ovviamente, dopo la conferenza non ho avuto modo di approfondire, poiché ogni partecipante vuole dire qualcosa, darti una pacca sulle spalle, congratularsi, proporre nuove collaborazioni: è il momento esaltante della rockstar, dopo anni di sacrificio chino sui libri. D’altra parte, quando voi andavate in giro con le vostre Ginette, io sgobbavo a fare ricerche, a sudare le sette camicie, a stare sveglio fino a tardi quando i figli andavano a dormire, ad imprecare per i refusi continui che trovavo mentre correggevo le bozze. E che cavolo, mica può piovere per sempre. Un po’ di soddisfazione ogni tanto ci vuole!

Con Gaetano ci eravamo incrociati probabilmente altre volte durante i voli di linea, ma non avevo colto alcune particolarità e quando ci siamo rivisti per caso al centro equipaggi mi ha raccontato dettagliatamente la propria storia. La prima impressione è che abbia un entusiasmo contagioso e che come tanti altri talenti, non sia adeguatamente apprezzato tra le proprie mura. Non a caso, i Romani dicevano “Nemo Propheta in Patria” e Dante, Leonardo e Colombo ce lo hanno ricordato.

Voleva raccontarmi in pochi minuti i progetti portati avanti, le collaborazioni che aveva messo in piedi, le potenzialità della sua idea. Ho avuto un momento di piacere nel constatare: cavolo, questo è peggio di me. Allora contromano siamo in due, dopo anni in cui ho vissuto come un salmone.

Oltre ad essere comandante di A-320 è stato accountable manager della Epsom Meteo Italia, che non è proprio un incarico che conferiscono al primo arrivato. Insegna all’Accademia della Guardia di Finanza e ha in più mille attività in piedi. Ma soprattutto, mi ha spiegato nei dettagli la cosa per la quale ho avuto un moto di orgoglio: ha elaborato, con la sua società, un software che rileva la turbolenza in volo e che hanno brevettato a livello internazionale. Per un profano, questa potrebbe sembrare una cosa come tante altre e invece no. È un’innovazione formidabile ed è stata inventata da un italiano.

Negli anni passati, ho avuto modo di collaborare con case costruttrici di aerei, con produttori di software avionici e mi sono reso conto di quanto chi costruisce gli strumenti sia lontano da chi li usa. In particolare, rimasi estremamente colpito quando, durante una consulenza presso una nota casa costruttrice, venni a sapere che il sistema che stavamo testando serviva a rilevare e rappresentare la turbolenza in aria chiara. Chiesi, molto stupito, come avrebbero fatto a rilevarla, poiché con la tecnologia disponibile essa è “undetectable”, vale a dire il radar meteo non la vede.

La risposta mi lasciò ancora più stupito. In pratica, il progetto si basava su un assunto: leggiamo i SIGMET e in funzione di dove sono previste aree di turbolenza, rappresentiamo il tutto sul navigation display. Ora, solo chi non vola può immaginare che le indicazioni riportate sui SIGMET siano attendibili, dato che praticamente ogni giorno è riportata “severe turbolence” nello spazio aereo italiano. Insisto, se uno ha incontrato almeno una volta nella vita la severe turbolence se la ricorda per tutto il resto della carriera. Come è possibile che ci sia tutti i giorni? Quindi, si trattava di una finzione che prendeva spunto da un’altra finzione… fino a che la turbolenza non la trovi davvero.

Invece, il sistema elaborato da Gaetano, che ho battezzato “Rizzi’s egg” in onore all’uovo di Colombo, è molto semplice ed efficace. Dato che i moderni tablet hanno un accelerometro molto preciso, perché mai non potremmo rilevare dal movimento del nostro computer il livello di sobbalzi effettivi che incontriamo a bordo? È stata creata così una app, che ho prontamente acquistato, chiamata LASC, che rileva tutti i movimenti subiti dall’aereo, associandoli anche al livello di variazione di accelerazione di gravità riscontrata.

Devo dire che l’ho provata in volo e funziona. Ho confrontato la ground speed e l’altitudine... e coincidono esattamente con quella del Flight Management System dell’aereo. Ho avuto modo di riscontrare come ci sia una effettiva rispondenza tra i movimenti, lenti o a scossoni, e il livello riportato. Tra l’altro, in caso di avaria agli strumenti (unreliable indication), potrebbe rivelarsi un ottimo back-up per determinare la propria altitudine e velocità.

Si può inserire anche il tipo di aereo su cui si vola, si può scaricare una mappa del mondo offline, in modo da evitare di essere connessi ad internet durante il volo ed inoltre c’è anche una quick reference chek list per affrontare la severe turbolence in volo relativa al tipo di aereo. E una volta a terra, si possono scaricare i dati di volo, riversarli su un server che poi li può processare e creare una mappa (questa, sì, vera) della turbolenza realmente incontrata in volo, con gli appropriati livelli oggettivi di light, moderate, severe. Tale programma può applicarsi sia agli aerei di linea, sia agli aerei più piccoli, come i VDS, e un domani si può anche utilizzare come scatola nera, dato che questi aerei non dispongono di un FDR (Flight Data Recorder).

In futuro, le possibilità di espansione di questo concetto sono molto interessanti poiché i suoi benefici possono essere estesi anche ai passeggeri. La turbolenza è uno dei fenomeni che dà più fastidio e che spaventa di più coloro che non volano per mestiere. Ogni giorno ci sono persone che ancora ricordano il “vuoto d’aria” che hanno incontrato nell’unico volo della loro vita.

Ebbene, il vantaggio per loro è che il pilota evita di incontrarla perché sa con anticipo dove si trova e a che altezza. Tutto ciò contribuisce a migliorare la qualità del volo e a mitigare gli effetti della paura, invogliando sempre più persone a prendere l’aereo... che rimane, a dispetto di tutte le cose che si sentono, il mezzo più sicuro per volare.

Da oggi, anche grazie a persone come Gaetano.

(25 giugno 2015)

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