Iscrizione Newsletter

Iscriviti alla Newsletter



Login

Mettiti nei miei panni - I

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaE-mail

I - I piloti formano una comunità professionale altamente specializzata, elitaria, spesso diversa, per mentalità e formazione, dalla figura dell'italiano medio. Queste caratteristiche portano talvolta i piloti a sminuire, a banalizzare, a sottovalutare le esigenze di chi non vola per professione.


L'evento Germanwings ha giustamente scosso l'opinione pubblica. Come per ogni evento mediatico che suscita clamore, emergono interrogativi, angosce, teorie complottiste, previsioni catastrofiche e proposte bizzarre.

Ciò che vuole sapere il passeggero comune è diverso da quello che la comunità aeronautica si domanda. Noi professionisti dell'aviazione ci interroghiamo sulle cause di incidente al fine di non permettere che capiti di nuovo con le stesse modalità. La domanda che noi facciamo ha una funzione pragmatica; vogliamo capire per agire. Il passeggero comune, invece, si chiede come sia possibile che una persona con disturbi psichici conclamati possa salire a bordo.

La curiosità del passeggero non mira a fare qualcosa, ma a tranquillizzarsi. Io la trovo un'esigenza più che razionale. Chi vola da passeggero mette la sua vita nelle mani di un altro essere umano, nel quale ripone la massima fiducia, perché massimo è il bene che gli chiede di tutelare: la propria vita. Allo stesso modo, se io pilota vado da un chirurgo non mi aspetto che questi mi tolga gratuitamente un rene, giusto per soddisfare il suo sadismo.

I problemi impliciti sono quelli del ruolo sociale delle professioni e del controllo dei controllori. La professione non può essere equiparata ad un mestiere, dove tutto è prevedibile e programmabile. C'è sempre un margine di errore, di interpretazione, di alea. Il professionista serve proprio a quello e la società richiede un più alto grado di preparazione, di impegno, di responsabilità rispetto a chi svolge un mestiere. In un certo senso, il professionista è delegato della società ad assolvere compiti in cui non è possibile programmare tutto.

Il secondo punto riguarda i controlli. La società, nel suo insieme, deve mettere in piedi un sistema di controlli reciproci, di garanzie, di assicurazioni in modo tale da evitare che un solo soggetto possa mettere in atto propositi insani.

Ad un certo punto, però, ci si deve affidare. Si deve dare per scontato che una persona si comporti, ora e in futuro, in modo responsabile. Quando lo Stato affida una pistola ad un Carabiniere, è perché si fida di lui. Quando mette un giudice a presiedere una seduta in tribunale è perché si fida di lui. Quando un primario di cardiochirurgia ha la facoltà di organizzare il reparto, gestendo fondi pubblici, personale e macchinari, ci si aspetta che egli faccia l'interesse della collettività.

C'è sempre, tuttavia, la possibilità che il Carabiniere usi la pistola in modo improprio, che il giudice stressato sbagli la sentenza, che il primario causi la morte di un paziente.

Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, è un uomo della strada. Anche io, nei campi in cui non sono esperto, mi pongo delle domande, e lo stesso fanno i passeggeri (continua)

(20 agosto 2015)

RSS
RSS