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Il dirottamento all'alternato - II

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(segue) Si fa presto a dire “andiamo all'alternato”. Anzitutto, occorre sapere esattamente dove si trova questo aeroporto, che caratteristiche ha, quanto carburante ci aspettiamo di consumare fino al momento dell'atterraggio.


E questo è solo l'inizio, perché le destinazioni regolari sono aeroporti con cui il pilota, atterrandoci spesso, ha dimestichezza, mentre gli aeroporti alternati pongono alcuni interrogativi. In primo luogo, non sappiamo se troveremo traffico aereo. In secondo luogo, dobbiamo ri-pianificare (spesso inaspettatamente) tutto il volo e questo comporta un aggravio di lavoro non da poco. C'è da riprogrammare il computer di bordo, cercare le carte di avvicinamento dell’aeroporto, effettuare un briefing per evidenziare i punti salienti delle procedure che pensiamo di effettuare, avvisare gli assistenti di volo, fare un annuncio ai passeggeri, coordinare con l’ente di controllo del traffico aereo rotte, altitudini di volo, tempi di percorrenza per la nuova destinazione.

Il carico di lavoro cresce esponenzialmente e questo fattore è una delle principali sorgenti di errore. Sappiamo che sotto stress, sotto il pungolo della fretta e del carico di lavoro, qualcosa può sfuggire al nostro controllo, facendo aumentare le distrazioni, provocando di conseguenza un’alterazione del flusso comunicativo all’interno della cabina di pilotaggio.

Come al solito, alcuni accorgimenti aiutano a non farsi stringere nella morsa della frenesia; un bel respiro, muoversi lentamente, pensare un po' più a lungo, sono fattori che aiutano a scaricare lo stress, a prendere tempo, rallentare il ritmo e tornare padroni della situazione.

Comunque, una volta atterrati, non è detto che i problemi siano risolti… anzi. Può darsi che non vi sia personale di compagnia in grado di organizzare le operazioni di terra. Ad esempio, c’è la possibilità di sbarcare i passeggeri? In linea di massima sì, ma non sempre. Se da Tel Aviv abbiamo dirottato a Damasco non è così scontato che tutto proceda liscio.

Possiamo rifornire di carburante? Quasi certamente, ma non certamente. C’è chi ha dovuto pagare il carburante con la propria carta di credito perché la ditta rifornitrice non aveva più l'appalto con la compagnia aerea.

Ci sono alberghi disponibili per ospitare i passeggeri? Dipende. Nel famoso caso dell’incidente di Tenerife, nel 1977, le strutture alberghiere dell’isola non potevano ospitare la quantità di passeggeri eventualmente lasciati a terra dalla compagnia aerea. Anche se in misura minore, fu una delle molte concause che generarono la catena di eventi che portò poi al disastro finale.

Anche una cosa così apparentemente semplice come reperire le scale per scendere dall’aereo potrebbe non essere così semplice, come scoprì a sue spese un equipaggio che voleva sbarcare i passeggeri, ma non vi era supporto logistico per quell’aereo specifico; le scale erano troppo basse.

E poi; siamo sicuri che una volta atterrati possiamo ripartire? Chi inoltra il piano di volo al controllo del traffico aereo? Chi effettua le operazioni di centraggio dell’aereo? Se poi, oltre al dirottamento aggiungiamo anche un’avaria come può essere il caso di una luce che si accende e che deve essere controllata dal tecnico di manutenzione certificato, si apre un altro capitolo sulla possibilità di ripartire per la destinazione finale.

A me, una volta capitò di effettuare un volo charter in una località sperduta nel deserto e scoprire –nonostante tutte le assicurazioni degli enti di compagnia– che il tecnico lì non c’era e che sarebbe dovuto arrivare dalla prima base disponibile. Insomma, quando si lascia la retta via, si sa quello che si lascia ma non si sa quel che ci sia.

Tutte queste considerazioni rientrano nel processo decisionale dell’equipaggio quando si tratta di interrompere l’avvicinamento all’aeroporto di destinazione. Tante volte, con il senno di poi, non si comprende l’ostinazione dell’equipaggio nel perseverare ad atterrare con condizioni meteorologiche proibitive. Nel retro-cranio probabilmente ci sono anche considerazioni come queste, e di cui spesso l’equipaggio non è neanche consapevole.

Come quella volta che atterrai ad Algeri alle due di notte. L’aeroporto alternato pianificato era Oran, in mezzo al nulla, con assistenza precaria. Mi ero premunito, contattando gli enti di compagnia e chiedendo se, nel caso avessimo dovuto dirottare per maltempo, una volta ad Oran saremmo riusciti a ripartire. La prima risposta era stata il silenzio. Dalla radio, una voce implorante mi aveva chiesto: “Perché, ci sono possibilità di dirottare ad Oran?”.

Una domanda del genere ha solo lo scopo di farsi tranquillizzare. È come l’equivalente di dire: “Che tempo farà tra quattro mesi?” Qualsiasi risposta è priva fondamento, un po' come i sondaggi elettorali, ma a differenza dei sondaggisti, io non presumo di avere la palla di vetro; è un’eventualità, come sempre. La risposta a quel punto fu: “Se non riuscite ad atterrare ad Algeri, tornate a Roma”.

Meglio prevenire che curare.

(30 settembre 2015)

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