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Cala Novembre...

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“Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti", canta il grande Francesco Guccini… tre anni fa, per festeggiare il suo 75° compleanno gli hanno dedicato l'annuale edizione del Premio Tenco, e figuriamoci se io posso qui azzardare un paragone tra il mio povero talento e il suo.


Però, mi permetto di aggiungere, coprono pure gli aeroporti. E anche in questo caso (e ripeto che non voglio con questo paragonare il mio povero talento a quello, immenso, del “maestrone di Pavana”) l'aggettivo "inquietante" ben si attaglia all'argomento.

Sì, perché la parola “nebbia”, nonostante tutti i sistemi di atterraggio strumentale “alla cieca” (come amano scrivere i media generalisti… in realtà alla cieca non atterra proprio nessuno, mica siamo matti) è sinonimo di ritardi, dirottamenti e cancellazioni che si abbattono come tegole sulla testa di chi viaggia: coincidenze saltate, altri voli persi, appuntamenti da cancellare o riprogrammare, vacanze che sfumano e, nella migliore delle ipotesi, il rientro a casa con ore di ritardo.

In aerostazione intanto il personale di terra è letteralmente assediato da caotiche ammucchiate di gente in cerca di informazioni che spesso nessuno è in grado di dare con precisione, perché un aeroporto che fino a qualche minuto prima era, magari con ritardi a volte pesanti, aperto può improvvisamente chiudersi in seguito a un ulteriore calo di visibilità, e l'aereo in arrivo è costretto a dirottare verso un altro scalo.

Oppure rimane, almeno in teoria, aperto, nel senso che tecnicamente permette ancora operazioni di decollo e atterraggio, ma il rallentamento dei movimenti finisce col causare la congestione totale delle aree di parcheggio. Il risultato finale è lo stesso: gli aerei in arrivo vanno al famoso (o forse è meglio dire famigerato) alternato… sempre che anche quello non arrivi a saturazione.

A questo punto non rimane altro che trasportare "via superficie", come si suol dire, tutti i passeggeri in un altro aeroporto, ed è cosa semplice solo in apparenza.

Mentre si predispongono i pullman, bisogna che il malcapitato gruppo recuperi i propri bagagli e poi venga guidato fuori dal terminal. Teoricamente dovrebbe bastare un quarto d'ora, ma c'è sempre uno che va in bagno e perde contatto dai suoi compagni di sventura e un altro che si attarda a trangugiare un panino, qualcuno che decide di rinunciare al volo senza avvertire nessuno e qualcun altro che si intruppa nel gruppo sbagliato: insomma, non si è mai tutti e la sospirata partenza non fa che subire rinvii.

E l'equipaggio, che nel frattempo è atterrato all'aeroporto alternato, non se la passa meglio: c'è da aspettare che arrivino i famosi pullman con i passeggeri, sperando che non ci siano ingorghi in autostrada, anch'essa presumibilmente invasa dalla nebbia. E sperando soprattutto che nel frattempo non cali la nebbia anche qui, vanificando così ogni sforzo.

Magari uno era partito da casa di buon mattino per farsi quattro voli in giornata e rientrare per l'ora di cena, e non si è dunque portato la valigia, e va a finire che si ritrova in albergo senza neanche un cambio di biancheria. Oppure, se tutto gira (si fa per dire, ormai) per il giusto verso, fa rientro a casa a un'ora indecente, accompagnato per di più dal malumore, che spesso sconfina della maledizione, dei passeggeri.

Perché in casi simili, non potendo prendersela direttamente con la situazione meteorologica, tutto finisce spesso con lo scaricarsi sulle incolpevoli spalle dell'equipaggio.

(28 ottobre 2015)

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