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Si riparla del Nepal

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Dopo un 2015 privo di eventi di rilievo torna purtroppo a far parlare di sé l'aviazione commerciale nepalese. Stavolta, durante uno dei brevissimi voli che costituiscono la stragrande maggioranza dei collegamenti interni del paese, è toccato a un biturboelica della compagnia Tara Air.


I contatti radio con l'aereo, un DHC-6 Twin Otter praticamente nuovo, uscito dalla fabbrica canadese meno di un anno fa ed entrato in servizio a ottobre 2015 si sono interrotti circa 10 minuti dopo il decollo, quando il bimotore si trovava quasi a metà volo.

Non stupisca la brevità: tra l'aeroporto di partenza (Pokhara) e quello di arrivo (Jomsom) la distanza in linea d'aria si aggira intorno ai 70 chilometri, ma in mezzo c'è il massiccio dell'Annapurna, e questo fa sì che la distanza stradale tra i due centri sia in realtà di circa 170 chilometri; e sono 170 chilometri che, in condizioni normali, richiedono un viaggio di oltre 8 ore.

Da Pokhara si va verso ovest fino a incontrare, diretta a nord, la stretta vallata del fiume Kaligandaki, lungo le cui rive si trova Jomsom: a destra, come già detto, l'Annapurna, a sinistra un altro degli 8000 che popolano il paese, il Dhawalagiri. La rotta aerea, benché ovviamente più breve, ricalca il percorso stradale, ed è proprio all'imbocco della vallata che il Twin Otter è finito contro i fianchi della montagna, causando la morte delle 23 persone presenti a bordo. La cifra fa presagire la presenza di due infant (bambini sotto ai due anni di età, che viaggiano in braccio a un adulto) visto che che il DHC-6 può trasportare al massimo, equipaggio compreso, 21 adulti.

Il Twin Otter è quello che si definisce un “mulo”: un aereo spartano, tozzo e sgraziato, ma dotato di ottime caratteristiche STOL (Short Take Off & Landing) che lo rendono idoneo ad operare, per esempio, sui 700 metri della pista di Jomsom, nonostante questa si trovi alla rispettabile quota di quasi 9000 piedi. E poi è un aereo ad ala alta, e la distanza delle eliche da terra rende possibile il suo utilizzo su piste non asfaltate o addirittura su campi improvvisati.

Il primo volo risale al 1965, e si potrebbe dunque pensare ad mezzo ormai superato, eppure quando 10 anni fa la DeHavilland Canada che lo aveva progettato annunciò la sua intenzione di sospenderne la produzione, un altro produttore (Viking Air) forte di almeno una trentina di ordini, rilevò le certificazioni e lanciò una nuova serie, la -400, alla quale apparteneva anche l'esemplare protagonista dell'incidente di cui stiamo parlando.

La realtà è che il Twin Otter (così come il Dornier D-228) è il mezzo ideale per collegare aeroporti piccoli, con piste corte e spesso asfaltate in maniera approssimativa, quando non addirittura sterrate, come quelle situate in certe isolette del mare del Nord, o nelle foreste indonesiane (e ce ne siamo occupati recentemente), oppure ancora nelle strette vallate (o addirittura sui fianchi stessi delle montagne, come Lukla) himalayane.

Aeroporti dove atterrare non è facile, perché in montagna, come ben sanno gli alpinisti e gli escursionisti che questi voli affollano, le condizioni meteo sono soggette a rapide variazioni, c'è quasi sempre turbolenza, gli ostacoli sono sempre vicini alla pista, e le piste sono corte e spesso mal pavimentate. Ciliegina sulla torta, la rarefazione dell'aria, che influisce negativamente sulle prestazioni di decollo e atterraggio degli aerei.

D'altra parte, questi aeroporti sono la porta di accesso più comoda alle grandi montagne per gli escursionisti e gli scalatori provenienti da tutto il mondo e i voli, benché notoriamente rischiosi e nonostante l'inclusione di tutte le lineee aeree nepalesi nella black list dell'Unione Europea, sono quasi sempre gremiti.

E il Nepal, nonostante si contenda con l'Indonesia il non invidiabile primato della più alta frequenza di incidenti mortali al mondo, data la situazione orografica e la scarsa qualità dei collegamenti stradali, non può assolutamente permettersi di rinunciare al mezzo aereo.

(26 febbraio 2016)

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