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Antarctic Rescue: la notte più lunga

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Sono giunti a Rothera, nell’ultima base con una “vera“ pista prima della fine del mondo, i due Twin Otter canadesi della Kenn Borek Air, in missione di salvataggio a favore di un tecnico del NSF (Nationl Science Foundation) in pericolo di vita presso la base antartica permanente di Amundsen–Scott (lat. -90˚,00 long. 00,00).


Non è la prima volta che si tenta (le altre hanno avuto successo) di riportare personale nel “Mondo Normale“ dall’Antartide nel mezzo dell’inverno. La prima volta fu nel 1999.

Una ricercatrice fu evacuata, sempre da Amundsen–Scott, dopo che la diagnosi di un cancro aveva fatto optare per un rientro “rapido”. Tecnicamente, da quelle parti era primavera e l’atterraggio avvenne non nella completa oscurità e, soprattutto, le temperature (-50˚) erano quasi “piacevoli”, almeno per il posto…

La prima volta nella completa oscurità notturna avvenne due anni dopo. Nel 2011, l’unico medico della base si autodiagnosticò una pancreatite. Non potendo lasciare i rimanenti membri della spedizione senza medico per tutto l’inverno si decise di tentare l’impresa. Due C130 della Guardia Aerea Nazionale furono mobilitati e inviati a Christchurch (NZ) dagli USA per il salto finale, ma le temperature sotto la soglia dei -60˚ fecero recedere dall’impresa: i rischi di un congelamento degli impianti idraulici per gli Hercules erano troppo grandi.

Rimaneva però una possibilità, il Twin Otter. Solo “cavi e olio di gomito“ muovono, infatti, le superfici di controllo di quest’anziano ed efficiente velivolo. Nato per il grande Nord, dotato all’occorrenza di sci, è il taxi, il furgone, l’ambulanza ed il camion del panettiere perfetto per l’Antartide.

Cosi come nel 2011, pochi giorni fa, due equipaggi sono partiti dal Canada, e attraversato il continente americano, prua inesorabilmente sud, hanno raggiunto in circa una settimana di volo la Terra del Fuoco. Da qui, attraversando il mare di Weddel hanno raggiunto il continente sulla Penisola Antartica, atterrando nella base britannica di Rothera. Qui, dopo aver tolto le ruote e montato gli sci attenderanno una finestra di almeno 36 ore di tempo favorevole per lanciarsi in un assolutamente folle volo di almeno 10 ore nel buio totale, senza radioassistenze, senza nessun aiuto se non la loro professionalità ed il loro coraggio. Un aereo ed il suo equipaggio, due piloti un tecnico ed un assistente medico. L’altro aereo rimarrà in attesa, per assicurare l’eventuale soccorso reciproco.

Alla fine di un volo di più di 1500 NM, li attenderà un miglio di neve delimitata da bidoni di latta, a cui, con non poche difficoltà, avranno dato fuoco i ricercatori della base (pensate solo che non si può usare la benzina perché a quelle temperature gela e non si incendia…) quale unico aiuto per l’atterraggio. Un volo con temperature che possono arrivare a -80˚ e contro i venti catabatici che scaricano aria, cosi densa da essere come liquida, dal plateau antartico all’oceano, con velocità che possono arrivare a toccare gli oltre 100 nodi. Poi una volta giunti, avranno solo il tempo di imbarcare il paziente, girare la prua verso nord e riaffrontare il mare di pece fino ai chiarori della penisola antartica. Quasi 24 ore di volo nella notte più lunga e feroce che si possa immaginare.

Se qualcuno può farlo, i bush pilot della Kenn Borek, sono quelli che possono farlo, ho avuto l’onore di conoscerne e lavorare con loro, li ho visti atterrare con 60 nodi di vento, su superfici che definire semi preparate è quantomeno “riduttivo”, lavorare a -40˚ per 12 ore, dormirne male 8 e ricominciare, tutto per 4 mesi di fila…

È folle... non so voi, ma io darei veramente molto per essere con loro oggi…

Buona fortuna PILOTI.

(22 giugno 2016)

 

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