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L'auto che si guida da sé

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Anche se da noi se ne sa poco, e quel poco che si sa è confinato per lo più nelle pagine web di qualche sito specializzato e nelle spesso imprecise pagine di divulgazione scientifica di pochi quotidiani, l’auto-che-si-guida-da-sé è ormai, anche se poco diffusa, una realtà, soprattutto oltreoceano.


In realtà, almeno per il momento, le Tesla (questo il brand, peraltro commercializzato anche in Europa), non sono ancora in grado di portarci a destinazione in modo completamente autonomo, ma dispongono di quello che viene definito un “autopilota”, che come tutti gli autopiloti (aeronautici) di questo mondo è in grado di compiere in modo autonomo, o quasi, una serie di manovre.

Quelle che una Tesla può fare non sono poi molte, se paragonate alle cose che riesce a fare un aereo, però è pur sempre possibile istruire la macchina a mantenere la propria corsia in autostrada, a cambiarla per un sorpasso, a entrare in un parcheggio senza “bocciare” le auto altrui...

Il fatto che possa fare una manovra di parcheggio ci dice ovviamente che la macchina in questione è dotata di sensori di ostacolo e di una certa capacità di analisi, e questo è un particolare importante perché la protezione contro gli ostacoli è sempre attiva, e i sensori fanno il loro lavoro anche durante la marcia normale dell’auto. Questo significa, per esempio, che se qualcuno vi frena improvvisamente davanti o vi taglia la strada, della frenata si incarica la macchina, ed anche, entro certi limiti, della manovra di schivata.

A proposito di “schivata”, i più scettici si stanno già chiedendo come si comporterà il pilota automatico nel caso in cui si trovi davanti a un cinghiale a passeggio in autostrada mentre dallo svincolo si immette un TIR… dove sceglierà di andare a sbattere? Ai posteri l’ardua sentenza… noi, in questa sede, siamo interessati ad altro.

Come piloti sappiamo ormai da decenni che il mito dell’aereo-che-si-guida-da-sé, tanto caro a certa stampa e certa opinione pubblica che ce l’hanno con quegli sfaccendati dei piloti, è relegato nel mondo, appunto, della mitologia.

La realtà operativa ci parla di un controllo costante e minuzioso sull’operato del nostro aiutante elettronico (non per nulla guardato fin dal suo debutto con un misto di scetticismo e preoccupazione), e soprattutto della necessità di essere sempre pronti, in qualsiasi condizione, a “staccare tutto” e riprendere manualmente il controllo dell’aereo.

Con una espressione gergale, definiamo questo atteggiamento “restare nel loop”: impostare il pilota automatico, interpretare le informazioni ricevute dagli strumenti di bordo, prevedere e sorvegliare le manovre dell’autopilota, intervenire a correggere comportamenti non voluti o comunque non adeguati, reimpostare all’occorrenza… e così via per tutto il volo.

Altro che star lì a “far niente, tanto oggi gli aerei fanno tutto da soli”. L’avvento dell’autopilota, benché abbia senz’altro diminuito i carichi di lavoro, ha creato dunque altri problemi ed altre sfide, a cominciare da quella, sempre attuale, posta dal progredire dell’informatica: più il sistema è sofisticato, infatti, e più è difficile restare nel loop.

In quel loop dal quale è invece uscito, il 7 maggio scorso, un 40enne della Florida che è passato alla storia (e a miglior vita) come prima vittima di un incidente dell’auto-che-si-guida-da-sé.

Secondo le risultanze dell’inchiesta condotta dal National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA), l’auto si è infilata sotto al rimorchio di un TIR perché i sensori del suo autopilota si sono lasciati trarre in inganno dalla posizione relativa (quasi perpendicolare) di auto e camion, e dal colore chiaro del rimorchio, che in quelle particolari condizioni di luce, poteva essere confuso con il cielo.

Circostanze rare, d’accordo, ma pur sempre possibili. Nella catena degli eventi, a questo punto, si è inserito il famoso loop: pare che l’uomo alla guida, in quel momento, avesse staccato le mani dal volante e stesse addirittura guardando un film di Harry Potter sull’immancabile schermo multimediale ormai familiare anche su macchine meno sofisticate della Tesla in questione.

Dalla Tesla si sono affrettati a far sapere che “...l’autopilota è una funzione di assistenza, che tuttavia non si sostituisce completamente al guidatore, il quale deve perciò sempre tenere le mani sul volante ed essere pronto a intervenire in situazioni di emergenza che la vettura segnala con allarmi visivi e acustici...” e che “...l’intervento umano risulta ancora determinante e non eludibile.”

Noi piloti, tutto questo lo sappiamo bene, e sappiamo altrettanto bene che occorrono professionalità e studio continuo per padroneggiare e volgere a proprio favore i progressi dell’automazione.

Qualcuno invece, ingegnere di un’altra casa automobilistica occorre dirlo, ha pensato bene di dichiarare che “...ogni volta che guido una Tesla con l’autopilota inserito ho l’impressione che l’auto stia cercando di uccidermi”.

Anche questo noi piloti lo sappiamo bene: battute del genere hanno sempre accolto l’introduzione di tecnologie particolarmente spinte…

...chissà perché, ma mi viene in mente il lancio dell’Airbus A-320...

(3 luglio 2016)

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