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La missione della medicina aerospaziale - I

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I - Organizzato dal responsabile del Servizio Sanitario dell’Aeronautica Militare, gen.  Piervalerio Manfroni, “La missione della medicina aerospaziale” è stato un incontro molto interessante, animato dalla presenza di tutti i maggiori rappresentanti delle Forze Armate, delle istituzioni e di esperti del settore.


L’obiettivo del convegno, svoltosi il 14 giugno scorso nella splendida cornice della biblioteca del Senato, era quello di discutere degli sviluppi della medicina aerospaziale, anche alla luce della possibile riforma che, in un prossimo futuro, potrebbe ridimensionare il ruolo di questa disciplina, facendole perdere la propria specificità.

In realtà, come è stato più volte ricordato nel corso del convegno, la medicina aeronautica non può essere appannaggio del medico di base, o di una persona che non conosca il mondo del volo, per via delle molte sfumature cui è soggetta la valutazione di persone che conducono più uno stile di vita che una professione.

Elevato lo spessore dei relatori che si sono avvicendati a parlare dopo il saluto e gli auguri del Presidente del Senato, Pietro Grasso.

Il primo intervento è stato quello del prof. Paolo Zeppilli, ordinario di Medicina dello sport all’università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Nel suo interessante discorso ha presentato un excursus degli avanzamenti della medicina aeronautica, evidenziando i punti di contatto con la medicina dello sport. Tra l’altro, l’Università Cattolica è l’unica in campo civile che abbia anche un insegnamento sulla medicina aerospaziale. Il suo discorso è stato ricco di aneddoti e di curiosità che l’appassionato di volo ha potuto apprezzare.

Ad esempio, si è accennato alla moderna camera ipobarica del Centro Sperimentale Volo di Pratica di Mare intitolata ad Angelo D’Arrigo, che stabilì il record di volo senza ossigeno, arrivando a 9100 mt.

E’ stato altresì ricordato il pionieristico contributo alla medicina aerospaziale dato da padre Agostino Gemelli, che oltre ad essere stato il fondatore dell’omonima struttura ospedaliera, è stato anche il primo medico aviatore e esperto di human factor, e prese il primo brevetto da pilota nel 1915 e fu amico di Francesco Baracca.

“Vista e udito, ottimi, peso non superiore a 75 kg.” Questi erano allora i requisiti per fare il pilota; tutto qui. Abile e arruolato. Bisognerà attendere il 1922 per avere una prima tabella di requisiti psicofisici.

A seguire, è stata la volta del prof. Francesco Tomei, ordinario di medicina del lavoro, che ha enfatizzato da parte sua l’importanza degli aspetti della prevenzione, in particolare l’analisi dell’ambiente di lavoro. Si è concentrato su due aspetti spesso trascurati che egli chiama le “malattie invisibili”, che si manifestano quando il lavoratore smette di lavorare (e che dipendono dall’attività svolta) e gli “incidenti inevitabili”, espressione che denota già nel linguaggio un fatalismo, evitabile, sul fatto che non ci si può fare nulla.

Anche la stessa parola “infortunio” include una sorta di riferimento alla malasorte piuttosto che ad un’attività che può essere sottoposta al controllo del rischio. Non a caso, la sua definizione della Sicurezza del Volo, come risultato di un’attività complessa di carattere non burocratico, ci vede certamente concordi. Secondo Tomei, essa dipende sostanzialmente da tre cose: Ricerca, Formazione e aggiornamento, Prevenzione.

La ricerca fornisce un patrimonio di conoscenze variegate che possono tornare utili in un campo come la medicina dove c’è necessità di un approccio multidisciplinare e interdisciplinare. Tra l’altro, un medico aeronautico che svolga anche un’attività come privato si arricchisce, perché si abitua a vedere anche soggetti portatori di patologie che raramente potrebbe vedere in un ambiente in cui si confronta con piloti che sono solitamente in salute fino alla pensione.

C’è bisogno, secondo Tomei, di integrare la specializzazione medica, che rappresenta allo stesso tempo un valore e un limite, con l’analisi dell’ambiente lavorativo. Ad esempio, l’effetto del rumore sull’ipertensione potrebbe non essere colto da un medico che si occupa di un settore specifico e non indaghi sui luoghi di lavoro. Ha citato, a tal proposito, il caso di una fabbrica di materassi a molle (poi fallita) in cui il 75% dei lavoratori manifestava sintomi di ipertensione. In realtà, il valore di decibel sul luogo di lavoro era di 85 dB.

Altro aspetto da rimarcare riguardo al medico del lavoro, è la confidenzialità che aiuta a creare il rapporto di fiducia. Tuttavia, alcuni osservatori hanno notato che questo approccio sarebbe auspicabile, ma difficile da ottenere poiché si trascura però il fatto che il medico è anche “carabiniere del sistema”, cioè colui che agli occhi del pilota viene visto come l’ostacolo tra sé e l’esercizio della professione. In realtà, la funzione del medico del lavoro, quando svolge con diligenza la propria funzione, è quella di aiutare il lavoratore a lavorare meglio, più a lungo e in sicurezza. D’altra parte, una carriera trentennale necessita di un passo che non può essere quello dello sprinter, ma più quello del maratoneta.

Un ragionamento che porta l’ascoltatore attento a riflettere anche sul concetto di limite, che nella realtà operativa delle compagnie aeree porta il management ad essere ossessionato dal concetto di limite, interpretandolo più come un asintoto, che come un valore di riferimento dal quale occorre decidere quanto distante posizionarsi ai fine della salute e della sicurezza (continua)

(14 luglio 2016)

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