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Quanto decide oggi un comandante?

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L'incidente occorso il 3 agosto scorso al B777 di Emirates in atterraggio a Dubai ci dà gli spunti per una serie di riflessioni interessanti e drammatiche. Quanto potere decisionale hanno i comandanti di oggi? E quanta è la paura di una chiamata in ufficio con conseguente degradazione o licenziamento?


I fatti resi noti dal preliminary report sono i seguenti: l'aereo arriva lungo e le ruote toccano la pista ad una distanza di 1100 metri dalla soglia, quasi il triplo della distanza considerata ottimale. Il sistema di avvisi acustici produce l'avviso: "long landing, long landing". Il comandante inizia un go around riportando l'aereo in volo senza però avanzare le manette del motore. Il carrello viene retratto e l'aereo, senza la spinta dei motori, inizia a perdere velocità e cade in pista. Le manette vengono avanzate a pochi secondi dall'impatto, ma i motori non hanno il tempo di accelerare per produrre la spinta necessaria a tenere in aria l'aereo.

Gli errori più evidenti, ma che non rappresentano l'oggetto delle mie considerazioni, sono il non aver messo a terra l'aereo alla distanza dalla soglia prevista, e il non aver avanzato le manette durante la riattaccata.

Un incidente accade sempre per una serie di cause che si incatenano tra di loro e magari hanno origini lontane, non è mai per una singola causa. In questo evento, per esempio, gioca un ruolo importante la decisione che ha preso il comandante di effettuare un go around invece di completare l'atterraggio decelerando, con i restanti due chilometri e mezzo di pista rimaanente, un aereo che ha già tutte le ruote per terra.

Lungi da me giudicare sbagliata la scelta fatta dal comandante di riportare l'aereo in aria. Il mio interesse si vuole focalizzare nel momento in cui la decisione è stata presa, perché mi ricorda esperienze personali in compagnie aeree medio-orientali e orientali, in cui troppo spesso le decisioni non vengono prese in base al buon senso e con l'obiettivo di fare la cosa giusta, ma solo con la preoccupazione di ricevere una chiamata dal caposettore ed essere accusati di non aver rispettato le procedure di compagnia, con le conseguenze per la propria carriera che ognuno può immaginarsi.

Per chi non è molto pratico di tecniche di pilotaggio è opportuno spiegare che, durante l'atterraggio, l'obiettivo è di mettere a terra le ruote entro i primi 300-400 metri di pista e comunque non oltre i 1000 metri. Ma atterrare "lunghi" non significa necessariamente che l'aereo e i passeggeri siano in pericolo, perché tutto dipende da quanto è lunga la pista.

In qualsiasi situazione sta quindi ai piloti valutare i rischi, in base alle infinite variabili in gioco e prendere la decisione che più soddisfa il mantenimento sicuro delle operazioni.

Purtroppo ci sono due filosofie differenti nell'applicazione delle procedure standard (SOP: Standard Operating Procedure) tra la cultura occidentale e il resto del mondo. Da noi sono considerate una linea guida che, pur garantendo l'uniformità delle operazioni tra tantissimi piloti in forza in una compagnia, lasciano una discrezionalità per poter far fronte a situazioni inusuali, non scritte o che necessitano anche decisioni estreme (pensiamo al caso dell'ammaraggio sull'Hudson del comandante Sullenberger).

Nel mondo medio-orientale e orientale invece sono considerate una legge inviolabile, che non ammette variazioni personali e in cui a seguito del mancato raggiungimento dell'obiettivo pianificato, come nell'esempio in questione l'atterraggio entro i 1000 metri, la decisione è già presa dalla compagnia: bisogna riattaccare, anche se poi si va incontro ad una condizione di maggiore rischio come ritrovarsi di nuovo in volo in condizioni meteorologiche avverse o con un basso livello di carburante. Ma gli esempi possono essere innumerevoli.

Quando un pilota vola con l'unico scopo di evitare il licenziamento è inevitabile che la sua capacità di giudizio sia fortemente influenzata, e in un contesto come l'aviazione, dove non si può dividere tutto con una linea netta, ma è opportuno avere una elasticità mentale eccezionale, la decisione finale deve essere lasciata ai piloti.

Mi auguro che il comandante del volo Emirates non sia stato ingannato da una pressione di compagnia negativa, e abbia preso la decisione di riattaccare perché convinto di fare la cosa giusta.

(15 settembre 2016)

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