Iscrizione Newsletter

Iscriviti alla Newsletter



Login

Ritorno al futuro - I

Attenzione: apre in una nuova finestra. PDFStampaE-mail

I - L’equipaggio più giovane del mondo ai comandi di un Airbus. Poco più di 40 anni tra comandante e co-pilota, un moderno e sofisticato jet da decine di tonnellate e centinaia di ignari passeggeri: stiamo vivendo un’altra conquista della tecnologia aeronautica, o rischiamo di fare il passo più lungo della gamba?


È di poche settimane fa la notizia secondo la quale una nota compagnia aerea low cost avrebbe aggiunto al proprio medagliere un curioso World Record impiegando l'equipaggio più giovane al mondo: 24 anni il Comandante e 19 il primo ufficiale.

Si tratta, credo, di una di quelle "bombe" mediatiche la cui deflagrazione prima ed onda d'urto poi, per lo meno tra gli addetti ai lavori, potrebbero essere ricordate e commentate a lungo.

In merito a questa notizia si leggono, ad oggi, almeno due differenti "correnti polemiche": la prima relativa al fatto che l'equipaggio "da primato" sia, con ogni probabilità, il prodotto della fastidiosa prassi denominata pay-to-fly cui, come noto, molte, troppe Compagnie Aeree prestano volentieri il fianco. La seconda riguarda l'esperienza accumulata dal predetto equipaggio, molto probabilmente proporzionale all’età, che, quindi, rischierebbe potenzialmente di erodere quel margine di sicurezza aggiuntivo dato dall'esperienza ed in virtù del quale la maggior parte delle Compagnie Aeree continua a fare riferimento quando si tratta di distribuire stellette e galloni.

Non ho letto, tuttavia, commenti (positivi o negativi) relativi al fatto che il predetto equipaggio sia, molto probabilmente, frutto di una tipologia di licenza introdotta solo recentemente da EASA ma già prontamente implementata da parecchie CAA Europee: la Multi-Pilot License (MPL).

Di che si tratta? In estrema sintesi la MPL è una licenza che autorizza (e che, quindi, limita) al pilotaggio di aeromobili ad equipaggio plurimo ma che prevede un iter addestrativo significativamente più breve e meno oneroso rispetto alle tipologie di licenze di pilotaggio professionale più tradizionali. Presto detto come ciò sia possibile: le ore di volo "vere" sono ridotte al minimo e sostituite da quelle effettuate sui simulatori mentre quelle di teoria, anch'esse notevolmente decurtate, sono più mirate al settore specifico dell'aviazione professionale. Viene meno, quindi, quella "gavetta" (peraltro, a tratti, anche piacevole fatta di aeroclub, volo a vista, cross country etc.) cui si è sottoposta la maggior parte dei piloti professionisti che attualmente solcano i cieli o che ambiscono a farlo.

Lungi dall'intento di denigrare o sminuire la validità di una MPL o, men che meno, l'effettiva capacità del suo titolare di condurre un aeromobile con professionalità e sicurezza è interessante, invece, soffermarsi su cosa gli manchi in termini di esperienza ma, è importante sottolinearlo, al di là delle ore di volo.

Scarseggia, probabilmente, una più ampia padronanza e familiarità nel volare in modo semplice, basico, senza i vari ADC, FMS, FMC, Piloti Automatici, Flight Director o, più in generale, senza tutte quelle protezioni ed automatismi, di cui sono dotati la maggior parte dei moderni liner, che dovrebbero impedire ad un pilota di commettere errori potenzialmente pericolosi o, per lo meno, di mitigarne gli effetti. Qualunque istruttore di volo non esiterà, infatti, nel confermare che le prime 100/200 ore di volo (vere!!) rappresentino le fondamenta sulle quali si basa il background di un buon pilota.

Il potenziale problema risiederebbe, quindi, nel fatto che, talvolta, anche i più moderni aerei non funzionino a dovere, si rompano, incappino in condizioni meteorologiche inaspettate ed è proprio in quei casi che i piloti sono costretti, oltre che, com'è giusto che sia, al pedissequo rispetto delle SOPs, a ricorrere, talvolta, al "basico": il volo per assetti, una maggiore fiducia verso il proprio istinto e quelle sensazioni "di pelle" dalle quali, non me ne vogliano i sedicenti professori europei, tutto nasce.

Ricordo che, durante il mio addestramento sull'idrovolante, il mio istruttore commentava divertito il mio disappunto nell'osservare un airspeed indicator che faticava ad indicare una velocità con uno scarto inferiore ai 10 nodi dicendomi "Trust your a.. feeling, it's gonna be much more precise than the damn steam gauge". Non so se quell'istruttore avesse ragione nell'aspettarsi che io riponessi così tanta fiducia nel mio fondoschiena e non in uno strumento sul quale, invece, speravo di poter contare: sta di fatto che credo di aver imparato a farlo e che, come ultima ratio, potrei ancora ricorrervi.

Ora, e lungi dall’ergermi quale modello di riferimento, siamo sicuri che il nostro giovane equipaggio ne sarebbe altrettanto capace? Oppure no, e non tanto poiché inidoneo quanto, invece, perché nessuno glielo ha insegnato e, quel che è più grave, qualcun altro ha decretato che fosse superfluo farlo? (continua)

(16 ottobre 2016)

RSS
RSS