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Pilota o Pilota?

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E’ importante l’uso del linguaggio nella formazione, permanenza e trasmissione degli stereotipi culturali legati al sesso femminile o maschile? Sono importanti i simboli, gli esempi sociali per la destrutturazione o il consolidamento dei pregiudizi di genere?


Alcuni diranno sì certo senz’ombra di dubbio altri forse potrebbero manifestare perplessità.

Pilot negli USA è pilota, non si conosce il genere finché non si usa, nello scritto ad esempio, il nome di battesimo o un pronome in terza persona singolare she o he, per gruppi di sole donne o soli maschi o misti, il genere diventa indistinguibile. In Italia alcuni sentono la necessità di specificare se c’è “la” pilota (è rarissimo sentire pilotessa) o “il” pilota in cabina di pilotaggio. Il nome pilota termina in a, dovrebbe essere femminile, e allora il pilota maschio potrebbe essere chiamato “piloto” in italiano, invece …l’unica dirimente è l’articolo.

La parola astronauta (anche questa, come pilota, finisce per “a”), fortunatamente per astroSamantha, non si è trasformata in “astronautessa” ma magicamente è rimasta completamente “asessuata” nella lingua parlata. L’astronauta rimane l’astronauta sia al maschile che al femminile, spero. In italiano scritto invece si dovrebbe sgamare per deduzione che si parla di genere femminile quando scriviamo un’astronauta anziché un astronauta al maschile. Astronauto non esiste e questa almeno è una certezza.

Alcuni giornalisti, con solerte puntiglio nei processi comunicativi, sottolineano che a Roma abbiamo una “sindaca” anziché un sindaco (come a dire: noi sì e voi no…) oppure nelle cause c’è chi sostiene che è assistito da una “avvocata” (che ha “le palle”) altri elogiano una poliziotta che ha arrestato un boss della mafia (brutta ma molto professionale) ecc… Insomma i media, ma non solo loro, sentono spesso il bisogno di chiarire che chi ricopre quella posizione lavorativa o apicale è donna e altri aggiungono aggettivi o frasi.

Queste stessa urgenza di specificazione non si capta per l’uomo al lavoro. Nessun giornalista evidenzia che l’amministratore delegato tal dei tali è un uomo, raramente qualcuno commenta che sia “un figo” (in Alitalia ad esempio, solo Ragnetti, esteticamente parlando, ha riscosso gradimento) e meno che mai c’è chi afferma che sia dolce. Risultano infatti assolutamente irrilevanti chiarimenti particolari sull’avvenenza dell’AD uomo, sulla sua dolcezza che può essere vista anzi come una qualità negativa in un top-manager, dove è richiesto “il manico”, tanto che si ricerca anche nelle donne top-manager (come attributi caratteriali ovviamente).

Qualcuno dirà che noia, ma è mai necessario fare sto’ pippone su questi dettagli del linguaggio, i simboli, i segni? La filosofia e molti psicologi sostengono che il linguaggio fonda l’essere. Io, a mio modesto parere ritengo che finora e forse ancora per diversi anni a venire, potrebbe avere un senso, in alcune culture patriarcali retrograde vuoi per radicamento/rigurgito storico o per ragioni religiose, costruire nuove narrazioni con simboli nuovi mostrando esempi di donne che hanno fatto qualcosa di cui fino a pochissimo tempo fa si ritenevano capaci solo gli uomini.

Ad esempio in India è significativo narrare le gesta di quell’equipaggio tutto femminile che ha fatto il giro del globo, (notizia dell’8 marzo 2017) sperando che stimoli una coscienza dell’essere/sapere/poter fare delle donne, avulso dalle caste.

Ricordo che più di dieci anni fa feci parte di un equipaggio tutto femminile, cockpit e cabina, in partenza per il Cairo. Successe un giorno così casualmente, non era l’otto marzo, nessuno venne ad intervistarci non c’erano telecamere, né ci facemmo selfie da postare su Facebook.

Era una cosa abbastanza singolare, per la frequenza di accadimento più che altro, (i numeri legati al genere femminile al comando, sono pochi in azienda) non certo per la nostra cultura occidentale che sulla carta è perfettamente paritaria.

Ebbene nemmeno gli arabi, famosi per i loro bias cultural-religiosi più o meno stringenti legati al genere femminile, si stupirono quel giorno quando nella cabina passeggeri si levò la voce femminile delicata ma ferma del comandante che fece l’annuncio al microfono: “buongiorno sono il vostro comandante…” i passeggeri non si sorpresero neppure quando videro uscire, per qualche minuto dal cockpit, il primo ufficiale con i capelli neri lunghi oltre le spalle, per sgranchirsi le gambe.

Nessun musulmano né donna velata ebbe un attacco di panico né chiese di essere sbarcato quel giorno, semplicemente scegliendo Alitalia avevano scelto un simbolo di emancipazione femminile, adattandosi alla nostra norma, alla normalità, un esempio di lavoro quotidiano paritario uomo-donna a cui loro forse ambiscono.

Comunque se hai voglia fai un gioco…

Quando sali sull’aereo e vedi che c’è un comandante o pilota donna, lo sottolinei con una certa enfasi? Magari parlando con i tuoi figli fai battutine o compi gesti scaramantici apotropaici? Questo forse vuol dire che ancora lo stereotipo di genere del pilota maschio che conduce l’aereo non è stato superato o che è una cosa così rara da attirare la tua attenzione o che voli troppo poco.

Quando leggi da qualche parte psicologo o notaio pensi sempre automaticamente che sia un uomo? Ahi ahi… Se senti casalinga pensi subito che sia donna? Beh forse non sei in Svezia… Se leggi una lista con nomi puntati e solo cognomi in una bibliografia scientifica pensi che siano tutti uomini? Potrebbe non essere così anch’io da studente mi sono sorpresa in questo bias, un buon trenta per cento, nei paesi anglosassoni, erano donne.

C’entra anche il linguaggio. Basta notaia, psicologa, avvocatessa, sindaca, ministra, magistrata, lo chiedo per pietà! Spero che l’Accademia della Crusca intervenga per vietare l’uso e l’abuso di queste vere e proprie violenze/storture linguistiche che oltre ad urtare la sensibilità dell’orecchio, contribuiscono a consolidare gli stereotipi di genere.

Siamo noi che dobbiamo pensare differente, il linguaggio va bene così, deve essere intercambiabile …pilota o pilota? noi vi diamo casalinga e voi dateci amministratore delegato. Va bene?

(12 marzo 2017)

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