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Mayday Fuel - II

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(segue) II – Sono in molti a pensare che lo schianto di un anno fa a Medellin rappresenti un caso limite, e che un incidente simile non possa capitare di nuovo. Io, guardando dall’andamento del fenomeno legato alla ridotta autonomia degli aerei di linea oggi, non ci metterei la mano sul fuoco.


Solo due mesi fa, mentre ero in volo, ho sentito un aereo della SAS che dichiarava emergenza carburante, dirottando a Pisa dall’aeroporto di Fiumicino. E siamo a due nell’arco di due mesi di cui sono a conoscenza diretta, solo perché li ho sentiti in frequenza. Poi ci sono tutti i casi che gli inglesi definiscono “unreported”, rendendo il fenomeno molto più diffuso ed insidioso di quello che si pensi.

Infatti, ci sono diverse situazioni che possono non essere riportate. Ad esempio, l’equipaggio arriva sull’aeroporto di destinazione con un carburante non sufficiente a raggiungere eventualmente l’aeroporto alternato. Una volta a terra, i piloti semplicemente compilano i documenti e vanno a casa senza notare il tipo di minaccia latente. In realtà, questo è un evento preoccupante che dovrebbe essere riportato, poiché in caso di chiusura imprevista e repentina dell’aeroporto di destinazione l’equipaggio non avrebbe avuto un altro aeroporto dove poter atterrare con i dovuti margini.

Il secondo caso è quello in cui i piloti si rendono conto di essere scesi sotto un determinato livello, ma decidono di non riportarlo per una serie di motivi: stanchezza, sfiducia nel management, timori per azioni disciplinari, altro?

Il terzo caso è quello in cui i piloti riportano correttamente la situazione critica all’ente sicurezza volo, il quale da parte sua non divulga l’informazione al resto dei piloti. Quindi, la conoscenza del fenomeno ristagna in sacche non accessibili alla comunità dei naviganti.

Il quarto caso è quello in cui dopo aver riportato una situazione critica, l’ente sicurezza volo divulga l’evento a tutti per aumentare la consapevolezza situazionale e disseminare cultura della sicurezza.

Il quinto caso è quello in cui un evento critico esce dal ristretto ambito degli specialisti e finisce sui giornali. L’opinione pubblica conosce solo questo tipo di casi, molto rilevanti e gravi, che tuttavia rappresentano soltanto la punta dell’iceberg.

Quello che deve essere chiaro a tutti i soggetti del sistema aeronautico (operatori di front-line, enti regolatori e di controllo, opinione pubblica, management, associazioni professionali e dei consumatori) che la sicurezza è interesse di tutti e non può essere gestita con metodi opachi.

Soprattutto, la percezione della sicurezza può variare secondo i punti di vista dei vari stakeholders. Il quantitativo di carburante imbarcato da un equipaggio potrebbe essere considerato pericoloso da un passeggero e invece un inutile spreco da un manager.

Questi punti di vista non equivalenti vedono il Comandante tra l’incudine e il martello. Da una parte, lo Stato chiede che il Comandante sia il tutore della sicurezza, mentre dall’altra i manager chiedono che sia orientato al profitto. Questa doppia veste in cui da una parte si gode di ampia autonomia decisionale garantita dallo Stato, mentre dall’altra si è soggetti ad una linea gerarchica aziendale -che tende a vedere il Comandante come un dipendente- provoca in alcuni un senso di disagio quando si tratta di decidere quanto carburante imbarcare.

Ebbene, l’esperienza di volo serve proprio a questo; a capire, volta per volta, quando ci sono le condizioni per poter risparmiare e quando invece il carburante deve essere l’ultimo dei problemi. Ovviamente, chi deve prendersi la responsabilità di decidere è il Comandante che viene appunto pagato per prendere decisioni, possibilmente giuste.

Perché in caso contrario, si apre un vaso di Pandora con l’innesco di una serie di conseguenze di ordine tecnico, professionale e legale di cui non tutti sono consapevoli. (continua)

(23 dicembre 2017)

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