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La batteria e il dopobarba

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Correva l’anno 2011, e il secondo incidente con perdita totale dell’aeromobile, del suo carico e dei suoi occupanti nel giro di poco più di un anno portò definitivamente al centro dell’attenzione degli esperti di sicurezza del volo il problema delle batterie agli ioni di litio e della loro pericolosissima tendenza ad incendiarsi.


Entrambi i voli erano cargo, e quindi il bilancio in termini di vite umane rimase estremamente limitato, ma quello che colpì gli investigatori fu lo stretto lasso di tempo che intercorse tra il manifestarsi dell’evento di fuoco a bordo ed il tragico epilogo.

Nel primo caso, i piloti del volo UPS 6 ricevettero l’allarme di fuoco in stiva alle 15:15z, poco più di 20 minuti dopo il decollo da Dubai il 3 settembre del 2010, e decisero di rientrare in emergenza all’aeroporto. La manovra non fu possibile a causa del denso fumo che aveva invaso la cabina di pilotaggio, e l’aereo finì col sorvolare la pista per poi schiantarsi nel deserto alle 15:40z. In stiva c’erano 81.000 batterie al litio di diverse dimensioni e potenza.

Il 27 luglio del 2011 invece solo 8 minuti intercorsero tra la dichiarazione di emergenza per fuoco a bordo del volo Asiana 991, in rotta tra Seoul e Shanghai, e la perdita di ogni contatto radio e radar. L’esame dei rottami, recuperati un paio di mesi dopo dai fondali dello Stretto di Corea, rivelarono che a bordo si era verificato l’incendio di alcune pile al litio facenti parti di un carico di “solo” 400kg, che aveva a sua volta innescato l’esplosione di resine, diluenti, vernici e altri liquidi infiammabili presenti tra le rimanenti 58 tonnellate di carico.

Ed è soprattutto a questa seconda eventualità, quella dell’esplosione innescata dall’incendio, che hanno evidentemente pensato i tecnici FAA impegnati nei test svoltisi nei primi mesi di quest’anno ad Atlantic City quando, dopo aver rilevato che l’incendio causato da una singola batteria all’interno di una valigia era nella peggiore delle ipotesi circoscrivibile facendo ricorso ai normali mezzi di estinzione all’halon presenti nelle stive degli aerei, hanno deciso di alzare la posta.

E lo hanno fatto mettendo in valigia, oltre a quattro camicie, due paia di pantaloni e poca biancheria intima, anche alcuni dei più comuni oggetti da toilette che normalmente ci portiamo dietro quando siamo in viaggio. A questo punto si sono accorti che un principio di incendio in fase iniziale, ancora contenuto all’interno della valigia e quindi non rilevabile dall’impianto di estinzione, qualora venga in contatto con materiali infiammabili come un comunissimo flacone di dopobarba spray, può dare origine ad una esplosione capace di causare violentissime fiamme e persino (a seconda del punto esatto in cui il bagaglio si trova) di arrecare danni alla struttura dell’aereo.

Queste risultanze, come era logico aspettarsi, hanno fatto sobbalzare sulla sedia i piloti presenti al forum, e hanno spinto l’ALPA a chiedere una stretta regolamentazione per impedire l’imbarco in stiva (esattamente il contrario di quello che aveva imposto l’amministrazione Trump poco più di un anno fa) di qualsiasi apparato elettronico funzionante a batterie.

Sembrerebbe la soluzione più logica, e tuttavia l’ICAO, e più precisamente il Dangerous Good Panel, che ha la responsabilità in materia di trasporto di materiali pericolosi per via aerea, ha opposto una serie di obiezioni, delle quali la più rilevante è quella che richiama alla difficoltà di applicazione su scala mondiale di un tale divieto.

La mancanza di una regolamentazione univoca su scala mondiale non impedisce però l’adozione, almeno nei paesi aeronauticamente avanzati, di tutta una serie di misure tese a minimizzare i rischi derivanti dall’imbarco in stiva della batterie agli ioni di litio, e su questo torneremo presto.

(25 agosto 2018)

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