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La novella dello stento - I

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I - Le nonne dei miei tempi la usavano come arma infallibile per calmare, ridurre al silenzio e finalmente addormentare nipotini bizzosi e riottosi, quasi ipnotizzandoli con una specie di mantra che ricominciava sempre da capo: era "la novella dello stento, che durava tanto tempo"… che è poi quella che oggi si sentono raccontare i lavoratori di Alitalia.


Della terza Alitalia, Alitalia SAI, nata nel 2015 dalle ceneri di Alitalia CAI, quella dei capitani coraggiosi di berlusconiana memoria, a sua volta nata nel 2009 dalla privatizzazione di una precedente Alitalia, Alitalia LAI, la prima, che per lunghi anni era stata una delle prime dieci compagnie aeree del mondo.

Ma torniamo alla nostra “novella dello stento”, quella di Alitalia SAI, che data in sposa ad un emiro arabo in cerca di mercato in Europa vede il suo matrimonio andare in crisi dopo appena due anni. Etihad si dimostra infatti ben presto interessata più a mettere un piede (anzi due, perché nella partita c’anche la tedesca AirBerlin) in Europa che a rilanciare le due compagnie. E, cosa che più conta, rivela anche la sua inadeguatezza a interagire con un mondo lavorativo dove il protezionismo di cui gode negli Emirati è messo al bando.

E così ad aprile del 2017 Alitalia si trova ancora una volta a fronteggiare una crisi finanziaria la cui soluzione, a detta degli arabi, renderebbe necessari una ricapitalizzazione e un nuovo piano industriale, che viene però respinto dai dipendenti attraverso un referendum aziendale. Non resta che l’amministrazione controllata, e la ricerca sul mercato di nuovi azionisti disposti a tentare il rilancio della compagnia.

Sei i mesi di tempo concessi dal governo Gentiloni per mettere a punto la procedura di vendita; sei mesi durante i quali l’operatività della compagnia (essenziale per non farne crollare il valore sul mercato) viene garantita da un prestito-ponte di 600 milioni.

E qui comincia “la novella dello stento”.

Perché nonostante le stime ottimistiche dei commissari (che del resto, va detto, lavorano bene riuscendo ad ottenere risultati industriali nettamente migliori di quelli sia dei “capitani coraggiosi” che degli arabi di Etihad) la procedura di vendita non decolla.

Dopo i primi facili entusiasmi legati alle 33 dichiarazioni di interesse presentate a giugno 2017 si fa presto a capire che in quelle buste, il cui contenuto non vincola in nessun modo l’eventuale futuro compratore, c’è tutto e il contrario di tutto: compagnie aeree più o meno grandi, aziende aeroportuali, fondi di investimento, studi legali che rappresentano non si sa bene chi, e qualche visionario convinto di avere in tasca la panacea di tutti i mali. E mentre alcune manifestazioni di interesse sono dirette all'intero complesso aziendale, altre mirano solo solo a una parte delle attività di volo, altre ancora solo ai servizi di terra.

Spiccano fra tutte alcune compagnie aeree, come Lufthansa, Ryanair EasyJet e la stessa Etihad, mentre si vocifera che dietro a fondi di investimento e studi legali si celino in realtà altre compagnie: Air France-Klm, British Airways, Turkish Airlines e perfino due grosse compagnie cinesi. Insomma, pare che la Cenerentola d’Italia abbia un buon numero di pretendenti.

L’elenco di quanti, dopo la prima scrematura effettuata a luglio 2017, restano in lizza si riduce però a solo 13 soggetti, mai resi noti, di cui solo 10 interessati a tutta l’azienda: tra loro ci sarebbero (condizionale d’obbligo) Etihad, Lufthansa, EasyJet, Ryanair, Delta, British Airways e Hainan. Tra l’altro nessuna di queste manifestazioni di interesse è vincolante.

Per le offerte vincolanti c’è tempo fino ad ottobre 2017, e a questo traguardo arrivano solo sette offerte: Ryanair non c’è più, Lufthansa invece sì, come EasyJet, dietro alla quale pare ci sia AirFrance, e un fondo di investimento americano, Cerberus, che fungerebbe da testa di ponte per la compagnia Delta.

Sette offerte che però non sono giudicate ammissibili perché in massima parte non rivolte all’intero perimetro aziendale, e “condizionate” a riduzione del personale, abbandono di rami d’azienda, preventivo risanamento dei conti, etc. Il loro rigetto apre la strada alla “procedura negoziata”, affidata all’advisor Rotschild, ma rende anche necessario un allungamento del prestito-ponte (messo subito nel mirino dall’Unione Europea come aiuto di stato), originariamente destinato a durare solo sei mesi.

La proroga è accordata fino a settembre 2018, a dimostrazione del fatto che ci si comincia a rendere conto che il cammino sarà arduo, e viene corredata da una ulteriore iniezione di liquidi per 300 milioni. A questo punto della “novella dello stento”, di solito i nipotini erano già caduti addormentati, e per non correre il rischio di addormentare anche voi interrompiamo per ora la nostra narrazione. (continua)

(25 marzo 2019)

 

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