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Verso un umanesimo tecnologico - III

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(segue) III - Al di là delle tante e significative modificazioni che sono intervenute nella concezione degli aerei di nuova generazione, rimane la filosofia di fondo che vede nel pilota una minaccia che deve essere supportata e all’occorrenza sostituita dalla macchina. Già tanti anni fa una studiosa come Susan Bainbridge chiamò questa situazione “the ironies of automation”.


In pratica, in condizioni normali l’automazione assorbe gran parte del lavoro una volta riservato al pilota, nella convinzione che questi sia fallibile. Quando invece l’automazione ha delle avarie o quando non riesce a fare quello per cui non è programmata, allora entra in gioco il pilota che con la sua flessibilità riesce a sanare il gap tra procedure e realtà. Quello che Susan Bainbridge evidenzia è proprio un paradosso che nasce da una semplice constatazione. Quando le condizioni sono routinarie si pensa di escludere l’uomo perché è fallibile; poi però se ne chiede l’intervento quando ci sono delle emergenze. Non è paradossale il fatto che si chiede l’ausilio di un soggetto poco affidabile proprio quando invece la situazione è più critica?

Gli incidenti non sono la risultante di errori momentanei, ma nascono anni, talvolta decenni, prima. Nel caso dell’incidente occorso ad un aereo A-330 dell’Air France che stava volando da Rio de Janeiro a Parigi nel 2009, gli investigatori hanno messo in evidenza una serie di problemi strutturali, legati all’ergonomia della macchina, che hanno indotto l’equipaggio in errore. In quella circostanza, alla quota di crociera i piloti persero le indicazioni di velocità, o meglio, furono ingannati da indicazioni di velocità discordanti tra i due pannelli piloti e misero in atto una serie di manovre che portarono l’aereo a stallare, cioè a perdere la capacità di sostentazione aerodinamica.

In realtà, l’aereo in questione è famoso perché in condizioni normali non può stallare, per via dell’intervento dell’automazione che mantiene un angolo di attacco massimo al di sopra del quale non è possibile andare. Invece, quando la situazione a bordo è degradata per via di avarie ai sistemi che abbassano il livello di protezione, l’aereo può stallare. E fu quello che successe. Quello che però uno studioso di sicurezza deve chiedersi: come mai un equipaggio addestrato perde il controllo per tre minuti e quaranta secondi senza riuscire a recuperarlo? Non uno, ma tre piloti esperti non sono stati in grado di capire cosa stesse succedendo a bordo. A che cosa è dovuto questo disorientamento?

Anzitutto, al fatto che di notte probabilmente l’equipaggio risentiva di un affaticamento più che naturale in termini di reattività psico-fisica. In secondo luogo, l’ergonomia stessa dei comandi di volo, non permetteva a un pilota di vedere quali input stesse fornendo il collega al proprio side-stick. In terzo luogo, gli strumenti di bordo non sono stati in grado di fornire in modo chiaro ed inequivocabile che l’aereo stava in condizioni di stallo. Gli investigatori a tal proposito hanno consigliato di introdurre anche una luce rossa STALL oltre alla voce sintetica poiché essendo una situazione estrema è bene che vi sia sinergia tra i vari segnali. Non a caso, negli aerei tradizionali la condizione di pre-stallo viene annunciata dalla vibrazione della barra di comando (sensazione tattile), dalla luce rossa STALL (sensazione visiva), dal rumore “clacker” e dalla voce sintetica che arriva dagli altoparlanti (sensazione acustica). In pratica, tutta una serie di avvisi concorrono a segnalare la condizione di pericolosità. Sull’Airbus di tutto ciò c’è solo la voce STALL sintetica che però arrivando in concomitanza con molti altri avvisi acustici e sonori può non essere percepita.

Ecco un ulteriore elemento di riflessione che viene dal campo dello human factor. Chi costruisce l’impianto sapeva che per quello che riguarda gli input acustici noi dobbiamo porre attenzione canalizzata e non soltanto ambientale? I nostri sensi ricevono degli input in continuazione. L’input deve diventare sensazione e poi percezione. La percezione deve essere analizzata per contestualizzarla in modo da diventare informazione. L’informazione deve essere processata per diventare significativa. Dal punto di vista uditivo immaginiamo di essere ad una festa. Intorno a noi abbiamo un brusio delle persone che parlano, il rumore delle posate che tintinnano, la musica di sottofondo, il rumore della strada sottostante, più altri input che il nostro cervello continuamente scarta. Ad un certo punto sentiamo il nostro nome e l’attenzione si canalizza verso l’emittente. Questo accade perché per ascoltare dobbiamo discriminare tono, volume, linguaggio, direzionalità, etc. per dare un senso a quel nome pronunciato. Nel nostro rapporto con le macchine noi facciamo più o meno la stessa cosa. Dopo il terzo input acustico diverso noi dobbiamo scegliere a cosa prestare attenzione e spesso ciò dipende da altri fattori tra i quali chi ha iniziato prima, che volume ha, il nostro livello di stress che può addirittura ottundere i sensi e non farci percepire nessuno dei segnali.

Forse i piloti del volo Air France 447 si sono trovati proprio nella situazione di non capire cosa la macchina stava dicendo con i suoi annunci perché erano immersi in un flusso comunicativo di estrema complessità. (continua)

(6 aprile 2019)

 

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