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Verso un umanesimo tecnologico - V

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(segue) V - L’avaria ai computer che gestiscono la traiettoria di volo è diversa da quelle che riguardano gli impianti di bordo, per quanto importanti essi siano. Il tema quindi non è tanto automazione sì o automazione no, ma come è stata concepita l’automazione nei diversi aerei e durante il corso degli anni.


Un aereo come l’MD-80 aveva la possibilità di essere condotto esclusivamente in maniera manuale dal pilota che si affidava a una elementare meccanica, poiché la parte elettronica è stata aggiunta (bolt-on). Gli aerei di nuova concezione invece sono nati come un ecosistema elettronico dove non è possibile escludere alcunché senza andare ad interessare altri sistemi o impianti di bordo (built-in).

Di conseguenza anche il processo di revisione di strumenti, impianti e procedure non è così semplice come potrebbe apparire a prima vista. Quindi, tutta l’attività di retro-fit si scontra con difficoltà progettuali non indifferenti, che richiedono tempo, energie e soldi. Tra Airbus A-320 family (10000 esemplari in attività) e B-737 family (10000 esemplari in attività) stiamo parlando di cifre talmente elevate che è impensabile di toglierli dalla circolazione per effettuare queste modifiche senza bloccare il trasporto aereo mondiale.

Quindi, occorre ripensare le filosofie operative per i prossimi aerei in costruzione. C’è un urgente bisogno di rimettere il pilota al centro del sistema, disegnando intorno alla figura centrale delle operazioni di volo sia gli strumenti e gli impianti (hardware) sia il software di comando dell’automazione sia le procedure di volo.  La disciplina dello human factor nasce proprio per studiare nelle sue varie declinazioni le prestazioni e le limitazioni umane, il lavoro di gruppo, il rapporto con la tecnologia, considerando che la sicurezza di sistema si ottiene attraverso la sinergia di uomini, mezzi e norme.

Riflettendo attentamente, vediamo che l’ingegnere progettista degli strumenti di bordo non ha avuto all’interno del proprio corso di studi, nessuna lezione di psicologia cognitiva, che lo metterebbe in grado di capire quali sono i pattern attentivi degli utenti dei sistemi che sta progettando. Lo stesso dicasi per gli aspetti organizzativi, che proietterebbero una luce diversa sull’impiego delle macchine e degli equipaggi, in termini di ergonomia fisica.

Soprattutto, andrebbe adottato un nuovo approccio alla sicurezza che consiste in un cambio di paradigma dalla sicurezza come analisi di ciò che non va, che non funziona o di ciò che si è rotto, alla sicurezza come processo decisionale permanente che adegua costantemente regole e prassi operativa, che colma il gap esistente tra il lavoro come immaginato e il lavoro come effettivamente svolto. Erik Hollnagel, uno dei maggiori esponenti dell’approccio della Resilience Engineering, parla di passaggio da Safety I a Safety II proprio per evidenziare la forza che un operatore intelligente, preparato, motivato e riposato può rappresentare per i sistemi ad alta complessità e alto rischio.

L’uomo al centro dell’ecosistema elettronico è la precondizione per costruire nuove macchine che non abbiano comportamenti inaspettati, che non forniscano sorprese, che siano di aiuto durante le fasi critiche e non un indebito aggravio di impegno, che siano comprensibili, funzionali e gestibili.

Occorre soprattutto uscire dalla mentalità che “più è meglio” in termini di meccanismi di sicurezza, poiché si è dimostrato che oltre una certa soglia l’aumento di tecnologia comporta una diminuzione in termini di comprensione, utilizzazione e gestione delle anomalie, in virtù anche del fattore tempo che non è una variabile indipendente quando siamo in volo. Come disse un mio caro amico: “Anche la ruota è qualcosa di antico; ma ancora funziona”. L’approccio quindi, non deve essere rivoluzionario, ma evoluzionistico, cioè che assecondi le usanze, il modus operandi dei piloti, le strategie operative condivise, mettendo a capitale proprio le esperienze di chi opera in prima linea e conosce l’ambiente entro il quale la tecnologia dovrebbe essere utilizzata.

Per ottenere dei manufatti tecnologici con cui l’utente deve interagire nella normale vita operativa occorre conoscere le caratteristiche di tale utente: non più quindi segregazione disciplinare, in cui l’ingegnere studia la parte hardware, lo psicologo la parte umana e il manager la parte economica, ma un’integrazione disciplinare che porti tutti a conoscere risorse e limiti degli approcci all’attività economica chiamata trasporto aereo.

(2 maggio 2019)


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