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La selezione dei piloti

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La selezione dei piloti passa attraverso una scrematura effettuata preliminarmente da una società di psicologi, che valutano la compatibilità della struttura caratteriale del candidato con il modo di produzione dell’azienda committente. L’azienda fornisce una griglia di riferimento entro la quale devono rientrare i candidati.

Questa griglia varia con il tempo e con i periodi storici, non solo per i piloti, ma anche per gli assistenti di volo.

In particolare, a bordo si può osservare il criterio di selezione delle varie epoche, paragonandolo ad una roccia sedimentaria in cui in ogni strato sono intrappolate delle vestigia del passato biologico e geologico. Allora, si passa dalla hostess anziana straniera, di solito olandese o tedesca, perché si privilegiava la padronanza delle lingue straniere, oppure, l’ondata dei laureati, che sono stati sostituiti dalla moda dei gay, preferiti per i loro modi gentili e orientati al cliente; poi si è cambiato registro. Dato che persone con molta personalità non sono facilmente gestibili, ma devono essere adeguatamente motivate, si è scelto di selezionare delle tipologie di persone che andavano bene come precari. Vi sono regolarmente dei casi di assistenti di volo che si trovano a lavorare per la quattordicesima stagione senza essere ancora stati assunti. Stranamente, è uscito di recente un volantino in cui un gruppo (anonimo) di stagionali dichiarava “mò basta”.

La procedura di far selezionare i piloti da uno psicologo risale a non molto tempo fa. Inizialmente, la credenziale era costituita dal fatto di aver volato nell’aeronautica militare, anche con incarichi di rilievo, per essere nominati comandanti. Poi ci fu la politica di creare in casa i propri piloti istituendo la scuola di volo Alitalia. Gli standard, ovviamente, cambiarono. Si preferì selezionare gente con meno grilli per la testa, rispetto agli istrioni che, da sempre comandanti, tenevano sotto scacco la compagnia con richieste e comportamenti da baroni dell’aria.

In effetti, l’istrione, il padre padrone dell’equipaggio, poteva permettersi certi comportamenti perché sul mercato era merce rara. Aveva delle competenze che non si potevano facilmente sostituire nel processo produttivo. Soprattutto, nell’auto-percezione del comandantone di ieri, influiva molto l’immagine sociale che lo caricava di valenze simboliche. Quando nessuno volava, il pilota veniva visto come una specie di astronauta. Nelle feste in Africa, in estremo Oriente, intorno agli anni cinquanta, le figure di riferimento in una festa erano l’ambasciatore, il console e il comandante dell’Alitalia in sosta.

Oggi, sebbene sia ancora lungo il processo di formazione e addestramento dei piloti, si tende a preferire un profilo caratteriale equilibrato, asciutto, che risponde di più alla figura di un tecnico specialista, di operatore qualificato di sistema. Crea meno problemi, ha meno capacità contrattuale, è orientato all’obbiettivo che consiste nella performance del gruppo piuttosto che nell’affermazione della propria personalità.

Quando fu istituito il colloquio con lo psicologo, emersero alcuni paradossi come quello del pilota bravissimo delle Frecce Tricolori che veniva scartato perché non idoneo. Forse si era passati all’estremo opposto.

Ma non è tutto. Lo psicologo interviene anche nella selezione degli istruttori. Ora, se una persona che è capo-pilota, che ha visto migliaia di piloti in azione, li ha valutati, ha seguito il loro iter professionale, ha intuito il potenziale nel campo dell’addestramento e ritiene che la persona prescelta per fare l’istruttore sia dotato di buona preparazione e di un buon carattere, come è possibile che, dopo un’intervista di circa quindici minuti, lo psicologo non lo ritenga idoneo a svolgere il ruolo per cui è stato chiamato? Evidentemente, c’è qualcosa che non va. O si cambia la procedura, o si cambia lo psicologo.

Anche perché per decidere del futuro di una persona non sono sufficienti quindici minuti.  Né, tanto meno, sono plausibili griglie interpretative per inquadrare il candidato così precisamente e velocemente: non le fornisce né la scienza, né il buon senso. L’unica spiegazione plausibile è che durante il colloquio il candidato abbia confessato di aver tagliato a pezzi la suocera e di averla messa in freezer. Ma, in questo caso, non dovrebbe fare neanche il comandante; e a pensarci bene forse neanche il pilota; e a pensarci ancora meglio non dovrebbe stare neanche a piede libero.

Lasciare il destino professionale di un pilota in mano allo psicologo è come lasciare la carta di credito in mano ad una donna malata di shopping... non si sa mai.

 

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